QUANDO MILANO GIUSTIZIAVA LA GENTE

Foto di apertura: la demolizione dei Bastioni in Largo Isabella d'Aragona tra il 1906 e il 1907 (dida per la foto)


In tempi di rabbiosa e frustrata giustizia sociale (Ai lavori forzati! A morte!), questo breve articolo auspicherebbe essere da monito: hai visto mai che gli indicibili orrori commessi in passato plachino gli animi e riportino alla ragione coloro che, oggigiorno, invocano ancora la condanna a morte.In rete le sommarie informazioni che circolano, riguardano quasi unicamente la posizione del patibolo; fino al 1814 in Piazza della Vetra e in seguito tra Porta Lodovica e Porta Vigentina…
Purtroppo la realtà è ben diversa e oltremodo agghiacciante, sia per l'estrema varietà dei luoghi dove avvenivano le esecuzioni, sia per i metodi raccapriccianti, sia per il numero dei condannati.
Nel 1764 Il povero Cesare Beccaria con il suo Dei delitti e delle pene tentò di porre un argine all'ignominia della pena di morte e come risultato ottenne l'esatto contrario; più esecuzioni a partire dallo stesso anno e, per quanto possibile, più brutali. Già, perché le esecuzioni pubbliche
rappresentavano per i milanesi un grande spettacolo; accorrevano in massa inveendo, maledicendo e sputando addosso al condannato del giorno: incitavano addirittura il boia. Difatti quando Giuseppe II, sovrano illuminista e illuminato, nel 1786 decretò la fine della crudele e sommaria giustizia applicata dal Senato, che per tre secoli aveva rivestito il ruolo giudice, giuria e carnefice inflessibile e infallibile (una divinità insomma), i milanesi si ritrovarono un po' spaesati perché privati di un classico e secolare intrattenimento.
Nel Cinquecento in tutto il Ducato di Milano si svolsero più di 1700 esecuzioni capitali; nel 1600 circa 860; tra il 1700 e il 1770 le condanne a morte ammontarono a quasi 680 per poi diminuire drasticamente nell'ultimo trentennio del secolo. I reati per i quali si poteva essere giustiziati erano svariati; dal furto a mano armata(rubberia) all'omosessualità; dalla contraffazione di moneta alla stregoneria; dal tradimento all'omicidio. A questo si aggiunga che la mutilazione per crimini, considerati minori, era frequente.
Leggendo i manifesti settecenteschi inerenti le numerose condanne capitali non è sufficiente un alka seltzer delle dimensioni di una torta per placare un incontenibile senso di nausea.
La tortura prima di un'esecuzione era una prassi adottata molto spesso e i metodi per porre termine alla vita dei criminali, o presunti tali, erano principalmente tre; l'impiccagione, la decapitazione e il fuoco. Talvolta, “per generosa carità cristiana”, si poteva essere strangolati o affogati prima del rogo. Ma ciò che fa davvero accapponar la pelle sono i luoghi dove avvenivano le esecuzioni capitali. Nonostante si potesse essere giustiziati ovunque in città, esistevano dei luoghi deputati: anticamente era Piazza Mercanti la cui campana, ancora ai tempi del Beccaria e del Verri, annunciava “l'ora della giustizia”.
Anche la Piazza del Castello rivestì questo macabro ruolo. In Corso di Porta Tosa venivano solitamente giustiziati gli aristocratici mentre l'insospettabile Piazza del Duomo (o Piazza Maggiore) fu utilizzata più volte quando si rendeva necessario dare più spettacolo e fungere da monito.
Infine, come accennato all'inizio, Piazza Della Vetra; nota anche come Campo Scellerato o Prato della Morte e chiamata laconicamente nei manifesti di pena capitale, Luogo Solito.
Nel 1814 il patibolo e il suddetto Campo Scellerato trovarono posto tra le porte Vigentina e Lodovica. Per quanto i più sostengano che l'ubicazione precisa fosse all'altezza di Via Vittadini, un vecchio articolo di giornale riporta invece Largo Isabella d'Aragona, nel mezzo di Viale Beatrice d'Este. In quel punto sorge la centrale omonima dell'acquedotto cittadino, terminata nel 1925. Il fatto curioso riguarda il sinistro appellativo dato dai milanesi a quello slargo sino a una quarantina di anni fa: alle forche.
In questo luogo nel 1862 avvenne l'esecuzione di Antonio Boggia, il Mostro della Stretta Bagnera: l'ultima del XIX secolo in città. E sebbene la pena di morte in Italia sarà abolita ufficialmente dal Codice Zanardelli nel 1890, Milano aveva visto già troppe atrocità e da anni non si giustiziava più nessuno. Fummo costretti a chiamare i boia da Torino e da Parma. Le nefandezze del '900 dovevano ancora giungere ma speriamo che questa tragica e poco lusinghiera pagina di passato possa sempre indicarci la retta via.

Riccardo Rossetti

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