ROGER BORNICHE HA FESTEGGIATO IL CENTENARIO

Ha compiuto cento anni Roger Borniche, forse il poliziotto più celebre e celebrato di Francia, di certo il più longevo essendo nato il 7 giugno 1919, a Vineuil-Saint-Firmin, Oise, nel nord della Francia. La letteratura poliziesca non è certo avara di commissari, primo fra tutti il famoso Maigret di Simenon, per poi passare all'affascinante Sanantonio di Frédéric Dard e - per ciò che riguarda l'Italia - al commissario De Vincenzi di De Angelis e al commissario Montalbano di Camilleri. Rari però sono i passaggi dalla realtà alla finzione, quali purtuttavia ci sono stati; basti pensare a Joseph Wambaugh, a Dorothy Uhnak e a Patricia Cornwell negli Stati Uniti. In Francia il caso più conosciuto ed eclatante è stato quello di Roger Borniche, che iniziò dapprima come cantante per poi: a partire dal 1940 passare a far cantare gli altri: i criminali da lui catturati  nel corso della lunga carriera durata fino al 1956, che furono ben 567. Fra l'una e l'altra professione Roger: un uomo all'epoca affascinante, alto un metro e settantacinque, più bello e interessante che brutto e insignificante, che avrebbe potuto essere benissimo l'interprete di se stesso così come lo era stato Mickey Spillane nel film "Il circo delle meraviglie", negli anni '50 e del suo personaggio principei: Mike Hammer in "Cacciatori di ragazze", negli anni '60, nonché in molti spot pubblicitari, Borniche svolse dapprima la professione di investigatore privato e poi quella di poliziotto per la Sureté di Parigi, passando in seguito al grado di commissario che mantenne fino alla metà degli anni '50, quando: constatate le pesanti pressioni politiche sulla polizia decise: all'età di 47 anni, di ritirarsi, dopo avere dapprima ottenuto l'autorizzazione ad aprire un'agenzia di investigazioni private specializzata sulle frodi alle assicurazioni. Un po' come il personaggio di Barton Keynes del romanzo prima e del film poi "Doppia Indennità", interpretato da Edward G. Robinson. C'è come un'attinenza fra realtà e fantasia, perché anche il commissario Sanantonio di Frédéric Dard a metà degli anni '70: 1975, lascia la polizia ufficiale per intraprendere la professione di investigatore privato, una sorta di copertura che però lo fa sempre dipendere dalla polizia di Stato. Poi, dopo sette anni (quasi fosse subentrata la crisi del settimo anno) eccolo fare ritorno nella polizia tradizionale. Borniche invece no. Dopo una quindicina di anni svolti nel ramo privato, su consiglio di Alain Delon che lo ha conosciuto e apprezzato, decide di scrivere le sue memorie. Il primo della ventina di libri che a cadenza pressoché annuale sfornerà per l'editoria fino al 1999, è il celebre "Flic Story", apparso nel 1973 come libro e due anni dopo come film. Ad impersonare Borniche sarà proprio Delon, che del film è anche produttore. La vicenda narra della lunga caccia nei confronti del feroce criminale Emile Buisson, terminata dopo che l'assassino avrà provocato oltre trenta morti. Altri due film verranno tratti da altre due opere del poliziotto scrittore. Siccome poi nel frattempo Roger si è trasferito negli Stati Uniti, alcuni dei suoi libri più recenti è lì che si svolgono. Lo stile di Borniche è quello di un autore tipicamente francese, che scrive in prima persona e al presente, alternandosi con la forma più classica del passato e con quella della terza persona. È chiaro che nello scrivere i dialoghi riportati per i lettori non sempre i primi rispecchiano l'assoluta verità, però sono pur sempre verosimili, ed è questo ciò che più conta in un libro. Più importante ancora è lo stile, che non si differenzia da quello rodato dagli autori francesi del cosiddetto "Polar", unione di poliziesco e noir, uno stile veloce ma non per questo sciatto, ironico ma con tocchi - seppure non il famoso tocco di Lubitsch - di piacevoli descrizioni il cui uso dell'argot - che poi corrisponderebbe al nostro vernacolo - lo rende più piacevole all'orecchio del pubblico di lettori. La Francia è quasi sicuramente il Paese del mondo occidentale che più somiglia al nostro ma che: proprio per questo, non rappresenta il nostro preciso essere. Ci stupiamo così per certi comportamenti, per determinate azioni. È come se la Francia avesse una sorta di velo opacizzante che per noi italiani copre la realtà non mostrandocela luminosa così come a noi la nostra appare, bensì quasi sempre sopra le righe. Quindi, o troppo farsesca o troppo grigia, e anche la prima è la farsa - o la falsa - realtà proposta da un clown. Gli scrittori italiani risultano più credibili a chi li legge poiché forse più quotidiani e meno eroici. Nelle pagine dei cugini scrittori d'oltralpe si ha invece spesso un'esagerazione di linguaggio, un come voler trasfondere lo stile e lo slang americani nello stile e nell'argot francesi. Il primo libro autobiografico di Roger Borniche è di certo interessante da leggere, perché oltre a divertire istruisce per quanto riguarda il modus operandi della polizia francese, facendo risaltare il poliziotto - spesso mal pagato e ben sfruttato - a discapito dell'eroe tutto d'un pezzo che: proprio per questo, è privo di angolature e sfaccettature che noi uomini normali possediamo.

Antonio Mecca 

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