SENATRICE LILIANA SEGRE
- 27 gennaio 2022 Cultura

Sopravvissura alle leggi razziali
Liliana Segre è nata a Milano il 10 settembre 1930, ed è stata eletta senatrice a vita dal capo dello Stato Sergio Mattarella il 10 gennaio 2018. La signora Segre è stata una delle tante vittime e delle poche sopravvissute alla follia delle leggi razziali proclamate in Italia, per la prima volta, a Trieste, da Benito Mussolini il 18 settembre 1938 per compiacere il suo ex allievo Adolf Hitler. La Segre, ancora ragazzina, venne rinchiusa in un vagone piombato agganciato a un treno che partendo dal famigerato binario 21 della stazione Centrale di Milano si diresse al campo di Auscwitz-Birkenau, dove troveranno la morte il padre e i nonni paterni. Salvatasi fortunosamente, ritornerà in Italia e nella sua Milano riprendendo a studiare e - una volta conseguita la laurea - diventare imprenditrice. L'attività che però la coinvolgerà maggiormente sarà: a partire dagli anni Novanta, quella di divulgatrice nelle scuole, nei convegni, in apposite assemblee o alla presentazione di uno dei tanti ma pur sempre pochi perché insufficienti libri sull'olocausto, dove parlerò della sua vicenda personale di giovanissima deportata o di quella di altre persone da lei conosciute. Liliana per molto tempo preferì non parlare di tutto quello che aveva subito, cercando di rimuoverlo dalla sua mente. Ma è forse possibile rimuovere il passato, e un simile passato? Pressoché coetanea di Anne Frank, la quale era nata in Germania nel 1929 e morì proprio a Bergen-Belsen all'età di quindici anni, Liliana Segre in tutti questi anni si è spesa infaticabile nel parlare ai giovani per metterli al corrente del passato suo e di tanti altri che solo perché ebrei, solo perché il capo del nazismo così aveva deciso, furono privati di ogni libertà, di ogni rispetto per finire poi uccisi dopo essere passati sotto ogni forma di degradazione fisica e morale. Qualcuno si potrà forse chiedere se a quasi ottant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale che costò la vita a 55 milioni di persone, di cui ben sei furono ebrei, abbia ancora senso parlarne. La risposta si trova già nei dati appena forniti, anche perché ancora c'è gente che non crede a quello che è successo, alla visione orrenda dei campi di concentramento ripresi dalle cineprese degli alleati e degli stessi aguzzini tedeschi perché sì: furono tedeschi, non solo nazisti, che produssero quell'orrore assoluto. Quello che la Germania degli anni Trenta-Quaranta del Novecento ha portato al suo zenit è stato il risultato più "alto" che popoli di religione diversa hanno da sempre riservato agli ebrei, e riversato odio, sadismo, ottusità umana. Vi sono teste impermeabili alla comprensione anche la più elementare, ed è cosa ardua anche il solo far capire cose che anche un bambino può constatare da sé mediante la visione di filmati risalenti a quegli orrendi anni. Ma gli odiatori di professione, no: ancora sono persuasi che si tratterebbe di un falso storico realizzato allo scopo di mettere in cattiva luce la Germania. Ciò che noi vediamo documentato dalla pellicola è invece la nuda e cruda realtà, così cruda che è difficile da mandar giù e digerire. Affermare che l'altro fronte, quello comunista, commise efferatezze non molto diverse non ha molto senso, perché ciò non toglie l'orrore accaduto e documentato per i posteri. Perché si resta sempre increduli, nonostante gli anni passati, nonostante la cultura, nonostante il proprio raziocinio, di fronte a questa montagna di orrore innalzata dalla devianza della mente umana. E tutto questo per ubbidire a un omuncolo che con due sberle ben piazzate sarebbe stato ricondotto: se non alla ragione, perlomeno a cuccia. Un ex pittore che aveva barattato tela e pennello con microfono e altoparlante, perché non sarebbero bastate le tele di una intera galleria espositiva per riprodurre le mostruosità da lui partorite. E la galleria nella quale ci aveva fatti entrare era un tunnel dal quale saremmo usciti solo a guerra conclusa e suicidio portato in atto. L'ultimo atto di una tragedia con troppe scene da tagliare.
Antonio Mecca
Antonio Mecca