TRASFERTA ITALIANA 1

- Buongiorno. Cosa posso fare per lei?

- Mr. Stevens? – si informò con voce leggermente roca, forse perché naturale, forse perché provocata dalla nicotina assorbita, forse perché emozionata.

- Sono io – assicurai.

- Avrei bisogno di parlarle.

Annuii. – Andiamo di là, in ufficio – invitai.

Lui mi seguì, sempre più emozionato, almeno in apparenza.

- Si accomodi – dissi indicandogli la poltroncina di faccia alla mia, che a furia di accogliere deretani di vario modello aveva finito per assumere un aspetto ad essi corrispondente.

- Adesso mi dica.

L’uomo annuì.

- So chi è lei, Mr. Stevens: un detective al quale affidarsi e del quale fidarsi.

- Questa frase la farò incorniciare per appenderla fuori dalla porta di ingresso.

- Non scherzi, la prego. Si tratta di una cosa seria.

- Voglio ben sperarlo – replicai. – Non sono solito svolgere indagini farsesche, ma soltanto ad avvolgere le ferite eventualmente riportate nel corso dell’inchiesta con bende mediche,

Lui sembrò esitare ancora; poi si decise.

- Lo scorso mese di giugno ero in vacanza in Italia, dove ho trascorso anche una settimana a Rimini, sul mare Adriatico, un luogo che ha ben poco a che spartire con i nostri qui sul Pacifico. Lì non è solo spiaggia e mare, ma viali alberati con ristoranti, bar, discoteche e gente del luogo così cordiale che qui da noi ce lo possiamo soltanto sognare.

Non replicai, limitandomi ad ascoltare il prosieguo della storia.

- Ebbene, mi è capitato una sera di notare una ragazza ferma sul ciglio della strada che da Rimini porta a Riccione, un’altra località di mare di quelle parti. Io avevo noleggiato una macchina e quando ho visto questa ragazza ho istintivamente rallentato per meglio osservarla. E così dopo averla abbordata ho iniziato a parlarle. - Si interruppe ancora, lo sguardo perso nel ricordo. - Era una ragazza sui venticinque anni, semplicemente incantevole, bella come il peccato che incarnava Non ho potuto trattenermi dal farla salire a bordo per poi accompagnarla nell’hotel che mi ha indicato, alle porte di Rimini, l’hotel Parigi. Un albergo modesto che offriva camere. Vania, una ragazza polacca in Italia da cinque o sei anni, residente a Milano. Da quella sera ci siamo visti tante altre volte, la portavo a cena in buoni ristoranti, le ho comprato dei vestiti, e ci siamo recati in altre località non troppo distanti da Rimini: Urbino, San Benedetto del Tronto, San Marino. Lei mi ha raccontato la sua storia.

 

Era una studentessa che nel suo Paese non riusciva a mantenere la famiglia composta dai vecchi genitori e da quattro giovani fratelli. Così è emigrata in Italia dove da qualche mese svolgeva la professione – definiamola così – di prostituta. Aveva una clientela che si potrebbe definire buona pur se eterogenea, ma di certo non era il massimo che dall’esistenza si era aspettata. Quando ha conosciuto me ha creduto di incontrare un angelo del Paradiso, che non finiva mai di ringraziare.

Disse: - Lei è ricco, mister…?

- Arnold – completò lui. – Sì – confermò poi: - posso di certo definirmi tale.

- Non ha una moglie, immagino…

- L’ho avuta, e mi è bastato. Siamo divorziati da cinque anni, con due figli ormai grandi che studiano al college.

- Che mestiere svolge, Mister Arnold?

- Sono nel ramo industriale degli elettrodomestici: frigoriferi, televisori, lavatrici.

Mi venne da pensare che se la lavatrice la metteva lui, l’asciugatrice invece poteva mettercela lei, perché in quanto a prosciugarlo del denaro accumulato, lei doveva essere più che esperta.

- Per farla breve, le ho fatto una proposta: quella cioè di seguirmi in America e in seguito di sposarmi.

  Io sono ricco, Mister Stevens, ma non di anni ancora da spendere perché ne ho sessantasei, e so che non ci resterò ancora per molto su questa Terra, che sarà per il fatto di essere rotonda ma è difficile mantenervi l’equilibrio e si finisce sempre per cadere in orizzontale, prima o poi.

- E Vania cosa ha risposto?


Antonio Mecca

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