TRASFERTA ITALIANA 12
- 21 dicembre 2021 Cultura

Siccome da qualche parte dovevo pure
iniziare presi a muovermi nell'ambito degli hotel indicatimi dall'albergatore,
partendo da quello più vicino sempre nel riminese a quello più lontano, situato
a Riccione. Il primo della serie si chiamava “Roma”, era un due stelle nato o
morto proprio per la mercificazione del corpo femminile e per il degrado di
quello maschile. Dietro il banco si trovava una donna sulla cinquantina che si
dava da fare per dimostrarne dieci di meno, e avvicinarsi così all’età: la
trentina, che si sentiva ancora dentro di sé. Ma per meglio convincere di
questo chi la guardava avrebbe dovuto recarsi a Trento; solo lì avrebbe potuto
passare per una trentina.
Nel vedermi sorrise, e io sorrisi di rimando a lei.
- Conosce una ragazza chiamata Vania? – chiesi senza por tempo
in mezzo. – Si tratta di una prostituta russa, che forse ogni tanto approdava
qui con la propria clientela.
Il sorriso svanì, e con lui anche l’artefatta giovinezza con la
quale era solita rivestirsi. Un vestito a strappi, dai cui buchi trapelava la
sua età autentica, così come da un tronco d'albero segato i vari cerchi
costituenti la sua età.
- No, non mi risulta – rispose lei lievemente infastidita.
Le mostrai una delle foto di Vania inviatemi da Frank.
- È questa – le dissi mostrandole la foto.
La donna la osservò, con quell’espressione che spesso le donne
hanno nei confronti delle loro consorelle una mescolanza di criticità, di
gelosia, di leggero disprezzo. Poi scosse la testa in un segno di diniego che
precedette la risposta a parole.
- Non l’ho mai vista prima.
- Questa donna è ricercata per qualcosa di più grave che
l’esercizio della prostituzione – le dissi - qualcosa che ha a che fare con la
scomparsa di un poliziotto. – Omisi di aggiungere privato. – Per cui, se è
a conoscenza di qualcosa, il mio consiglio è quello di parlarne.
- Gliel'ho già detto prima: non la conosco. Lo direi,
altrimenti.
La fissai per un po’ con sguardo indagatore. Dopodiché mi
accomiatai per cercare altrove.
Il secondo albergo così come il terzo non furono che la replica
del primo. Il quarto, in zona Miramare, invece seppe indicarmi qualcosa. Si
chiamava Pensione Biotti, e stava pressoché attaccata, appiccicata quasi a una
chiesa moderna di grezzo cemento e di fronte a una pista di go kart per il
momento priva di clienti. La donna addetta alla ricezione era sui 45 anni,
mora, un bel seno se non più fiorente fiorito ancora, il viso dalle guance
rosee come i due lati di una pesca matura pronta per venire colta e gustata,
occhi scuri e lucenti come i suoi capelli. Ma se questi risplendevano
probabilmente per l’ausilio di una tintura provvidenziale, gli occhi invece
emanavano una luce naturale che sembrava provenire dal passato, da una
giovinezza che ancora albergava in lei e che affondava le radici nell’adolescenza.
Vedendomi entrare sorrise. Sentendomi parlare il sorriso, pur
non scomparendo, diminuì alquanto.
Osservò l’istantanea che ritraeva a sua insaputa Vania in
procinto di adescare un cliente.
- Sì: posso dire di conoscerla – affermò.
- Era una sua affezionata cliente?
- Oddio, proprio affezionata non direi. Ma è venuta qui diverse
volte.
- L'ultima, quando è stata?
- Qualche tempo fa.
- Forse in questo mese?
Ci pensò su un po’- - Sì: mi pare di sì.
Annuii. – Siete soliti segnare i nomi di chi richiede una
stanza, anche se per poche ore, immagino…
- Sì, immagina bene – confermò la donna sorridendo.
- È lei che mi ispira la fantasia – replicai. Anche se a dire le
fantasie, sarei stato forse più sincero.
- Può dare un’occhiata al registro degli ingressi e trovare il
nome del cliente in questione?
Fummo interrotti da una giovane coppia, lei in prendisole e lui
in pantaloncini, che le chiesero la chiave della loro camera. La donna gliela
porse insieme a un sorriso di prammatica che non per questo motivo risultava
meno bello a vedersi. Quindi consultò il computer approdando al mese di luglio,
e qui giunto scorse i giorni, o meglio le notti, e a un certo punto si fermò.
- Ecco qua: Vania Titova e Alberto Genzani.
- Alberto Genzani – ripetei. – Il recapito invece?
- Cesenatico, via Belardi numero 18.
- Ricorda che tipo fosse?
- No. Mi spiace.
- Neppure se lo aveva già visto prima?
- Mi pare di no, sebbene non possa affermare di esserne sicura.
- Okay – dissi. – Non posso che ringraziarla – conclusi.
La donna sorrise. – E’ successo qualcosa di brutto?
- Temo proprio di sì – le risposi. – Le farò sapere in seguito.
Antonio Mecca