TRASFERTA ITALIANA 15

Il posto di polizia più vicino si trovava nei pressi della stazione ferroviaria, nelle vicinanze cioè dell’accampamento temporaneo o stanziale dei reietti della Terra. Individui di ambo i sessi un giorno arrivati e mai più ripartiti, che tiravano avanti usando droga che ne fiaccava lo spirito e afflosciava la mente, implorando la carità dei cosiddetti normali e vivendo o meglio sopravvivendo della assistenza dei volontari. Un giovane agente in divisa piantonava l’ingresso. Frank e io ci avvicinammo, dicendogli di volere parlare con l'ufficiale di servizio.

- I vostri nomi, prego.

- Siamo due investigatori privati – spiegai mostrandogli i documenti che lo attestavano. Lui li esaminò, dopodiché ci autorizzò a entrare. Al check-in lasciammo le pistole, quindi potemmo proseguire. 

Nel corridoio ci venne incontro un suo collega: anche lui giovane, anche lui in divisa, anche lui di origine meridionale.

- Per quale ragione volete parlare con l'ufficiale di servizio? – chiese.

- Una ragione comprendente un omicidio e una fuga di documenti militari trafugati e venduti a una potenza straniera.

Sembrò farsi immediatamente interessato.

- Venite con me.

Ci precedette lungo un corridoio che conduceva a una serie di uffici uno dei quali occupato dal commissario di turno.

- Dottore – disse l'agente, - ci sono qui due investigatori privati che hanno da riferirle alcune cose che sembrano essere molto importanti.

Il commissario Alfonsi, fece cenno di sedere. 

- Commissario, sono un detective privato di Milano e il mio collega un detective privato di Los Angeles, qui giunto su richiesta di un cliente americano. Ha chiesto la mia collaborazione, e ha portato anche me qui a Rimini.

Presi a raccontargli l'intera storia, seguito attentamente da lui e con un certo sforzo a causa della lingua da Stevens. Quando terminai, si alzò in piedi dicendo:

- Presto: conduceteci alla casa dove è stato ucciso quell'uomo.

Dopo avere recuperato le nostre armi lo seguimmo a bordo di una pantera della polizia con un altro agente in divisa. Giungemmo a destinazione in poco tempo. Entrati nella villetta accendemmo le luci e così anche i poliziotti poterono notare il cadavere di Genzani steso sul pavimento. Allora l’ufficiale ordinò all'agente che ci aveva accompagnato di chiamare la Scientifica, e diramare l’identikit delle due persone da me descritte: Vania e Hans.

- Noi ci rechiamo alla stazione - disse Alfonsi all'agente, per poi comunicarlo anche all’autista.

Giunti in stazione rivolgemmo uno sguardo al tabellone delle partenze: quella per Milano era annunciata di lì a un’ora, mentre quella precedente era avvenuta un'ora prima. Il commissario passò davanti alle persone in fila in attesa di acquistare il biglietto sventolando la propria tessera di poliziotto.

- Polizia! – esclamò infatti. – Riconosce questa persona? – aggiunse rivolto all’impiegato dietro il vetro.

Così dicendo tramite il mio smartphone gli mostrò la foto di Vania. L’uomo la fissò, con attenzione.

- No – disse poi. – Non ricordo di averla vista. 

Il commissario si volse verso di noi.

- Devono trovarsi in auto, diretti a Milano. Andiamoci anche noi, presto. 

Lasciammo l’impiegato e la stazione e ci precipitammo nell'auto della polizia.

- Fai girare i pistoni in direzione dell'autostrada e poi dirigiti a Milano.

L’agente al volante non se lo fece ripetere. Innestando la sirena sorpassò varie auto incolonnate fino a giungere ben presto all'autostrada, che si trovava non lontano dall'ingresso in città, svoltando a sinistra e arrivando al casello indicante Bologna da una parte e Ancona dall’altra. L'agente prese per Bologna e di lì a poco schiacciò l'acceleratore a tavoletta. Il limite dei centotrenta fu largamente superato e mentre eravamo in viaggio Alfonsi avvisò la Centrale di polizia di Milano di recarsi in via Barillari, al numero 22 e di tenere d’occhio l’abitazione di Vania Titova. Ovviamente a bordo di un'auto civetta. 

- Sempre che si rechino a Milano e non all’aeroporto – disse il poliziotto rivolto a noi che sedevamo sui sedili posteriori. Diramò poi un ordine anche agli aeroporti di Malpensa, Linate e Orio al Serio, inviando la foto di Vania tramite cellulare. Alla fine si lasciò andare sullo schienale, socchiudendo gli occhi. 

 

Antonio Mecca

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