TRASFERTA ITALIANA 7
- 09 dicembre 2021 Cultura

In un edificio
prospiciente una chiesa di media grandezza di colore bianco, l'uomo si fermò,
trasse di tasca un mazzo di chiavi e con una di queste aprì il portone.
Aspettai un po’: quindi mi avvicinai alla porta osservando i nomi riportati.
Nessuno fra questi era di stampo russo, o slavo, o cirillico. Naturalmente ciò
non stava a significare granché. L’uomo poteva trovarsi lì come affittuario,
per cui c'era ben poco da fare, solo fotografare i nomi sui campanelli,
mostrarli a Solmi e quindi discutere con lui sul come agire di conseguenza
Dopo avere passeggiato per
un po’ me ne tornai in hotel, mi distesi sopra il letto (mi era capitato in
passato di distendermi anche sotto, per meglio spiare determinati sospetti) e
cercai quindi di dormire fino all'alba.
Poi, quando la sveglia
suonò di lì a otto ore, mi rivestii e uscii. Mi feci condurre da un taxi nello
stesso luogo dove il giorno prima ero stato in appostamento; quindi dopo avere
pagato il driver gli chiesi di aspettare qualche minuto e mi diressi verso l’auto
di Solmi con lui all’interno.
- Buongiorno – lo salutai.
– La bambola è sempre in casa?
- Sempre. Una brava
ragazza priva di grilli per la testa.
- Già. I grilli devono
farle ben poca compagnia, visto che a loro preferisce le cicale come lei è.
Lui sorrise.
- Sì; è una cicala, come
qua da noi si usa dire. O si usava.
- Va bene – risposi,
prendendo il suo posto dietro al volante. – Ci vediamo stasera.
- Sì. Ciao.
Si diresse al taxi e
quindi l’auto pubblica ripartì.
Io tolsi di tasca un
giornale italiano del cui contenuto capivo poco e nulla, sfogliandolo e
sollevando lo sguardo di tanto in tanto in direzione della casa dove Vania
abitava. E fu durante uno di questi frangenti che la vidi. Recava con sé un
piccolo bagaglio, vestiva con gonna e giacchetta azzurri, portava una
capigliatura perfettamente a posto e sembrava muoversi con decisione. Vidi che
si dirigeva verso un taxi situato al lato opposto della strada, il muso puntato
in direzione della piazza. L'autista, quando la vide arrivare scese, le tolse
di mano il bagaglio e lo sistemò nel bagagliaio della propria auto la quale era
una Mercedes di aspetto recente. Poi risistematosi dietro al volante si scostò
dal marciapiede e si immise in strada. Io accesi il motore e mi immisi sulla
carreggiata che immetteva a sua volta in piazza Udine. Erano le otto circa e il
traffico si andava facendo più denso, come un caffè non americano servito in un
bar del Sud Italia. Percorremmo la via Casoretto, ma questa volta non sfociammo
in piazzale Loreto bensì svoltammo a destra prima di arrivarci per poi
percorrere una strada di cui mi persi il nome. Vidi però che conduceva alla
stazione Centrale. Il taxi si fermò nella corsia destinata alle auto pubbliche
e scorsi Vania scendere. Io mi guardai intorno alla disperata ricerca di un
posteggio, non lo trovai e allora decisi di piazzare la macchina con il muso
rivolto in direzione della parte posteriore di un’altra auto, di marca italiana
perché Fiat, modello recente perché Punto. Poi mi affrettai all'interno della
stazione, un incredibile edificio grigio pesce costruito negli anni neri del
fascismo imperante. Ritrovai la ragazza in coda davanti alla biglietteria, con
due persone a me davanti. Allungando le orecchie mi riuscì di sentire la
destinazione dove la dolce fanciulla intendeva recarsi: Rimini. Dopo essermi
passata accanto la seguii. Sul tabellone delle partenze infatti quella per
Rimini era annunciata di lì a dieci minuti. La vidi salire sul treno, per poi
sistemarsi sulla carrozza quattro, dove mi sistemai anch'io a tre posti di
distanza. La tenni d'occhio, e vidi che era intenta a parlare al telefono con
qualcuno ma non udii quale fosse la lingua parlata. Poi, a telefonata conclusa,
prese una rivista italiana e si mise a leggere. Di lì a poco apparve il
controllore. Mi alzai per cambiare scompartimento, quindi telefonai a Solmi,
che mi rispose dopo il terzo squillo con voce assonnata.
- Scusami per il disturbo.
Mi trovo sul treno diretto a Rimini, alle calcagna di Vania. Ti avverto che
ho
lasciato la
tua auto nella parte laterale della stazione Centrale, in sosta vietata. La
chiave è infilata nel
quadro motore.
Adesso sta arrivando il controllore e lo informerò di non avere il biglietto
perché non ho
fatto in tempo
a farlo.
- Va bene, Frank. Fammi
poi sapere altro quando sarai giunto a destinazione.
- Certamente. Ciao e a
presto.
Quando il controllore
apparve gli dissi che non avevo fatto in tempo a fare il biglietto e lui allora
me lo fece, chiedendomi dove ero diretto perché il treno aveva come ultima
destinazione Lecce, una città del Sud Italia. Dopo avere pagato e ottenuto il
biglietto feci ritorno al mio posto. Vania era ancora intenta a leggere il
giornale. Lo mollò all'incirca un quarto d'ora prima dell'arrivo nella località
balneare. Attraversammo a velocità già ridotta un ponte che sovrastava un
canale ospitante varie imbarcazioni per poi, di lì a poco, approdare alla
stazione di Rimini. La donna da me tenuta d’occhio si alzò e prese con sé il
proprio bagaglio, una borsa di tela color rosso rubino. Io lasciai che fra lei
e me si interponessero alcune persone, dopodiché mi alzai a mia volta per
avviarmi verso l'uscita. La stazione formicolava di persone in attesa di salire
sul treno diretto al Sud e di altre già scese, tra le quali Vania e il
sottoscritto. Una volta fuori dalla stazione la ragazza si avvicinò a un taxi,
salendoci poi insieme al bagaglio. Io salii su quello immediatamente successivo
chiedendo all'autista di seguire quello a lui immediatamente precedente.
- Come nei telefilm, eh?
- E come anche nei film –
precisai. – E, soprattutto, come nella realtà.
Il tutto enunciato in un
italiano sufficientemente comprensibile.
L'auto davanti a me si
mosse; non le staccai gli occhi di dosso. Attraversammo una parte della città
per poi confluire in un bel viale alberato affiancato di belle ville in
mattoni. Poi svoltammo a destra e ne imboccammo un altro alla cui destra si
trovavano bar, ristoranti, edicole mentre alla sinistra hotel e: più a sinistra
ancora, il lungomare che separava il mare dalla strada. A un certo punto il
taxi che ci precedeva rallentò per poi svoltare sulla destra.
Antonio Mecca