LA SPINTA INNOVATIVA DEL PD

Dal senatore Franco Mirabelli.

La discussione nel Pd dopo il risultato elettorale se vuole essere utile e costruttiva per noi ma soprattutto per il Paese non può, sbagliando e dando una lettura tutta autoreferenziale del voto, essere utilizzata per scaricare genericamente ogni responsabilità sul Segretario o sul Governo, dimenticando che i processi di cambiamento e di rinnovamento messi in atto possono naturalmente segnare errori, limiti ma soprattutto incontrare resistenze. Il dibattito è utile se affronta alcuni temi che diventano ancor più fondamentali dopo la Brexit che ci impone di assumerci fino in fondo e con equilibrio la responsabilità di dare futuro e stabilita al Paese e all’Europa. Voglio provare a indicarne tre.
Come giustamente ha subito sottolineato Matteo Renzi, il voto dei ballottaggi non può essere archiviato come un voto di protesta. C’è stato sicuramente anche questo, soprattutto nel comportamento degli elettori di centrodestra che hanno premiato in massa - e non ricambiati - i candidati dei 5 stelle. Ma proprio questo dato conferma che gran parte degli elettori dei 5 stelle hanno espresso un voto di cambiamento che, per questo, non si è rivolto verso i candidati di centrodestra nella maniera significativa che gli avrebbe consentito di battere a Milano, come a Bologna o in altri Comuni i candidati sostenuti dal Pd. 
Da questa considerazione discendono due conseguenze. Di fronte alle responsabilità e agli oneri di governo oltre che alla difficoltà di produrre fatti in tempi rapidi e nonostante la quantità enorme di riforme messe in campo, si è meno percepita la spinta innovativa e di cambiamento che è stata ed è la cifra del Pd di Matteo Renzi. Il punto, quindi, non è essere stati troppo di destra o poco di sinistra, ma, dal Governo, non essere riusciti a mantenere intatta quella capacità di essere percepiti in modo credibile ed efficace come forza di cambiamento che nel Paese c`è e che ci ha premiati alle Europee. Se questa riflessione ha un senso ne porta con sé una seconda: il tema del cambiamento positivo, della discontinuità, della riscrittura di un patto nuovo tra cittadini e istituzioni sono e devono essere i temi centrali del Referendum di ottobre, non certo il giudizio sul Governo. Questo ci può consentire di parlare, agli elettori di centrodestra che vogliono modernizzare le istituzioni, è coinvolgere anche una parte importante di chi, magari votando 5 stelle, ha consegnato al proprio voto una domanda sincera di cambiamento.
Il voto, in particolare quello di alcune periferie del Nord, ci dice che restano ampie le situazioni di disagio sociale e ci pone anche il tema della crescita delle distanze sociali. Su questo si è messo in campo molto: i fondi per gli interventi sulla povertà, lo stesso Job Act, i soldi per le periferie. Ma dobbiamo prendere atto che questi interventi e gli stessi dati positivi sulla crescita e lo sviluppo prodotti dalle riforme, non possono rispondere ad una domanda concreta, immediata, non procrastinabile di sostegno e assistenza qui e subito a persone che non ce la fanno più. Quando il Presidente del Consiglio insiste giustamente sulla necessità di alimentare un clima di fiducia per rilanciare il Paese, non possiamo sottovalutare il fatto che più è stridente il contrasto tra l’ottimismo e una fascia di popolazione, magari più ristretta, ma che sta sempre peggio e più sarà facile, per chi campa politicamente agitando problemi e pessimismo, alimentare la sfiducia. 
Credo che su questo si debba riflettere. Una misura con un impatto analogo a quella degli ottanta euro che dia sostegno subito a chi è in condizione di grave disagio serve a quelle persone e serve a battere la demagogia del reddito di cittadinanza dei 5 stelle.
Dentro questo insieme di questioni sta il tema del partito. Il PD ha ancora una grande presenza organizzativa sui territori, è capace, come è successo a Milano di creare mobilitazione, portare consenso, essere determinante. Ma lo è quando riesce a superare il dibattito tutto autoreferenziale che spesso caratterizza la vita del partito a partire dai territori, facendo perdere di vista la necessità di essere coi cittadini, lasciando a leghisti e 5 stelle l’attenzione alle piccole cose: dalle buche alla mobilità. Lo è quando riesce a costruire unità guardando a cittadini e non all’estenuante ricerca dell’accordo sempre più difficile e sempre meno politico tra capicorrente: purtroppo i caminetti tra i maggiorenti, giustamente cancellati dal Matteo Renzi, sono istituzionalizzati su tanti territori.
Lo è se riesce a essere una opportunità di impegno politico per chi vuole dare una mano a cambiare questo Paese con le proprie competenze ed energie, certo un partito che ad ogni livello si presenta litigioso non è né interessante né credibile.
Ancora lo è se, soprattutto al Sud, riesce a costruirsi anticorpi forti contro l’illegalità e ad allontanare da sé l’idea che la criminalità organizzata è parte permanente del paesaggio contro cui non è possibile fare nulla. Per rilanciare il partito serve con rigore rompere meccanismi consolidati, sconfiggere l’idea di partito come somma di comitati elettorali personali e riorientare la sua funzione recuperando l’attenzione ai territori, alle relazioni esterne, ai cittadini. 
Ecco oltre alla organizzazione della futura segreteria credo si debba discutere anche di questo della ricostruzione di un partito degli iscritti, degli eletti e degli elettori.
Sen. Franco Mirabelli

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