Don Giuseppe Gervasini

El pret de Ratanà

Ripercorriamo attraverso varie testimonianze la vita di don Giuseppe Gervasini, meglio conosciuto come “El pret de Ratanà”, che tra gli anni di fine ottocento al 1941, anno della sua morte, divenne famoso come guaritore del corpo e dell’anima.

Secondo il racconto di don Luigi del Torchio, suo lontano parente,  da me intervistato per la trasmissione “Storie di Lombardia”, Luigia Molinari madre di don Giuseppe era nativa di Bardello, località del Comune di Gavirate (Va); mentre il padre Antonio Gervasini di professione piccaprèi (tagliapietre) era nato a S. Ambrogio Olona, allora frazione di Varese, nello stabile di proprietà paterna in via Baraggia al n. 6, nel cui cortile vi è una lapide, posta dai devoti milanesi il 22 novembre 1999 per ricordare il cinquantesimo della morte di don Giuseppe, sulla quale è erroneamente indicato che lì sarebbe anche nato, mentre il futuro pret de Ratanà nacque a Robarello di S. Ambrogio Olona il 1° marzo 1867 in una casa tuttora esistente, sulla strada che conduce al Sacro Monte di Varese dove i genitori risiedevano dal giorno del loro matrimonio.
S. Ambrogio Olona a quel tempo era un paesino di 630 anime che non possedeva le scuole elementari, per cui  il nostro Giuseppe doveva percorrere ogni giorno tre chilometri a piedi per raggiungere la scuola che si trovava in piazza S. Martino a Varese, nel fabbricato ora sede del Tribunale; terminate le elementari, frequentò il Ginnasio al Collegio Cristoforo Colombo di Varese.
Morto improvvisamente il padre, mamma Luigia con il suo lavoro di assistente in filanda e con l’aiuto della famiglia Bianchi, proprietaria di una fabbrica di campane e dello stabile dove i Gervasini abitavano, assicurò al figlio il prosieguo degli studi, prima a Monza e poi al Seminario di corso Venezia a Milano. Dopo una pausa di oltre due anni per il servizio militare a Caserta, l’11giugno 1892, in Duomo a Milano venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo Luigi Nazari di Canabiana.
Dal 1892 al 1897 cambiò diverse  parrocchie. Il primo incarico fu a Pogliano Milanese, poi a Cabiate (Co) e a S. Vittore al Corpo a Milano, nel 1896 a Peregallo di Lesmo in Brianza ed infine dal 1 giugno 1897 a Retenate, un paesino a est di Milano nella tenuta di Trenzanesio, presso la Cappellania dei conti Greppi.
Nel 1997 grazie all’amministratore della Fondazione Invernizzi ottenni il permesso di filmare in esclusiva all’interno della loro tenuta, nella quale si trova tuttora ciò che rimane del vecchio paesino di Retenate e della chiesetta di S. Giuseppe, dove don Gervasini è stato parroco; sopra l’altare vi sono i resti di quello che fu un tabernacolo e ciò che rimane di un affresco raffigurante una Madonna con in braccio un Bambino già grandicello, la stanza dove viveva don Giuseppe comunicava con la sacrestia la cui porta  era murata. 
A Retenate contadini e fittavoli si rivolgevano a lui sia per i propri malanni che per quelli dei loro animali. E qui iniziò la sua notorietà di medegon (guaritore) tanto che poi sarà chiamato per sempre el pret de Ratanà (il prete di Retenate).
Una o più volte la settimana don Giuseppe lasciava Retenate per andare a Milano; s’incamminava per la strada sterrata  verso la Cascina Bianca e leggendo il breviario arrivava fino a Cassina de Pecchi dove c’era la fermata del tram che da Gorgonzola andava a Milano. E lì, come raccontano, avvenne il famoso “episodio del tram” che molti collocano a Baggio sulla linea del 34.
Quella volta il tram arrivò in anticipo, e don Gervasini ancora lontano dalla fermata non fece nulla per affrettarsi, tanto che il manovratore si spazientì e mise in moto il tram, ma il mezzo non si mosse fino a quando, con calma, il prete salì e disse: “adess te podet moeuves!”, stupore del conducente e dei passeggeri che subito raccontarono l’episodio facendo accorrere a Retenate, da Milano e dai paesi vicini, tante persone ansiose di conoscere quel prete che aveva il potere di fermare o far partire il tram!
Pian piano cominciarono i dissapori con il conte Greppi, anche per le gelosie dei medici del circondario che videro in  don Gervasini un concorrente accusandolo di non limitarsi a consigli, ma di esercitare abusivamente l’arte medica. Questo, unito ad altre lamentele, indusse il cardinale Andrea Ferrari a sospenderlo a divinis, sospensione che costò a don Gervasini la celebrazione della S.Messa. Era l’anno 1902.
Dopo dieci mesi il cardinal Ferrari revocò il provvedimento disciplinare, reintegrandolo nell’esercizio delle funzioni sacerdotali. Don Luigi del Torchio racconta un curioso aneddoto riguardante i rapporti tra don Gervasini e l’Arcivescovo: “il Cardinale, poco prima di partire per una visita pastorale, venne colpito da un forte torcicollo; disperato non sapeva come fare, quando il suo segretario particolare gli suggerì di chiamare “El Ratanà!” Il  Cardinale accettò. Don Giuseppe andò in arcivescovado e in pochi minuti lo guarì.
In risposta al ringraziamento del cardinal Ferrari, el pret de Ratanà replicò, sorridendo: Eminenza, per adesso l’ho guarita, ma se mi punisce un’altra volta glielo farò ritornare! e si congedò.
Dal 1902 gli annali del Clero lo indicano residente a Milano, infatti lasciata la tenuta di Trenzanesio si trasferì in una casa di ringhiera in via Pattari vicino a piazza Fontana, non lontano dall’arcivescovado.
In quella casa, in pieno centro di Milano, rimarrà molti anni fino a quando nel 1926 a 59 anni si trasferirà in località Barocco in via Fratelli Zoia 182 in una bella casetta con giardino avuta in regalo, si disse, da una persona benestante in segno di riconoscenza per una guarigione insperata.
Il ricordo di chi lo conobbe è quello di un uomo di altezza media, robusto, scorbutico, trasandato che otteneva guarigioni usando rimedi non scientifici. Dall’olio di ricino all’aglio sfregato sulla parte dolente, sanguisughe, decotti ed unguenti ricavati da ogni tipo di erbe, fino ad arrivare a far bere al malato l’acqua dove si era lavato i piedi o zuppe fatte con brodo di ossa di manzo e verdure messe a cuocere nell’acqua di un caldar sempre in ebollizione su di una vecchia stufa. 
Per guarire l’artrosi consigliava passeggiate a piedi nudi nel Marcionino, il ruscello che scorreva davanti alla sua casa. Spesso gli portavano maglie di parenti o amici ammalati e lui dall’indumento sapeva descrivere la persona che l’aveva indossato, la malattia e il rimedio.
Guariva senza chiedere nulla in cambio, chi poteva permetterselo lasciava qualche moneta in una ciotola che si trovava sul tavolo della cucina.
L’incontro avveniva spesso con frasi colorite, specialmente se si trattava di donne:  Cossa te voeuret pioggiattona (pidocchiosa)... sciabalona (sbilenca)... sguerciona (orba)... puttana...
Tali espressioni mi furono riferite da un maturo ascoltatore durante una trasmissione dedicata a don Gervasini, che da bimbo accompagnò la nonna dal prete in via Pattari, e lo sentì rivolgersi così alla donna che faticava a salire le scale, per un dolore alla gamba. Dopo tanti anni era ancora shoccato al ricordo, però, aggiunse, la nonna dopo quella visita guarì!
Il cardinale Ildefonso Schuster era in buoni rapporti con don Gervasini. Fu lui che nel 1938 gli concesse la facoltà di officiare in casa, su di un altarino da lui stesso allestito, dove tutte le mattine celebrava la Messa, assistito nei fine settimana dal suo amico Pierino Rigoldi, in funzione di chierichetto.
Pierino Rigoldi o Felice Trianti?
Sui sette e più libri scritti sulla vita di don Gervasini si cita sempre “il chierichetto Felice Trianti”, identificandolo in Pierino Rigoldi, nell’unica fotografia in cui è ritratto, in ginocchio, accanto a don Giuseppe durante una funzione religiosa. E qui è il caso di affermare, per  chiarire una volta per tutte, che il soggetto ritratto nella fotografia è Pierino Rigoldi.
A conferma di ciò, il giorno  8 settembre 2004, ricevo un fax dal signor Giuseppe Galli e una foto da parte della signora Nucci Cornalba, foto che sui libri dedicati a don Giuseppe  Gervasini è stata pubblicata senza l’amico Pierino o, indicato, con un altro nome. 
Ecco il contenuto del fax:
“Egr. sig. Marelli, con questa lettera volevo portare a sua conoscenza le notizie che sono riuscito a raccogliere sulle circostanze che portarono Pierino Rigoldi ad incontrare don Giuseppe... 
Pierino, nativo di Carugate (Mi) possedeva una macelleria ed ebbe la fortuna di conoscere don Giuseppe tramite una signora che si recava spesso al suo negozio per acquistare grandi quantità di carne e provviste varie. Il Rigoldi incuriosito dalla frequenza e dalla quantità di provviste, un bel giorno chiese alla donna se doveva provvedere a sfamare una famiglia così numerosa e seppe, solo dopo moltissime insistenze, che era devota di don Giuseppe dal quale aveva ricevuto aiuto e la guarigione di un suo caro, e che le provviste erano destinate ad aiutare i bisognosi. Commosso dal racconto e dalla devozione della donna, Pierino chiese se poteva occuparsi lui di tale missione e pregò la signora di poter conoscere don Giuseppe. Dopo qualche visita al sacerdote Pierino riuscì ad instaurare una grande amicizia con lo stesso, tanto da arrivare a servire Messa tutte le settimane nella cappellina di Baggio. Dopo la morte di don Giuseppe, Pierino si trasferì in Trentino a Molina di Ledro dove morì purtroppo dopo qualche anno in un incidente. 
Dei tanti racconti sul Rigoldi ricevuti dal nipote Lino Bonfanti mio grande amico, purtroppo deceduto un anno fa e figlio della sorella del Pierino ancora vivente e quasi centenaria, ricordo solamente un fatto che mi impressionò moltissimo. Il Pierino aveva ricevuto uno scritto da don Giuseppe che raccontava di un sogno avvenuto nel 1936 durante il quale aveva avuto una visione di una infinità di stormi di enormi uccelli che vomitavano lingue di fuoco sulle nostre città. Negli anni successivi lo spettro della guerra attraversò il nostro paese e le nostre città conobbero l’orrore dei bombardamenti.
Cordiali saluti, Giuseppe Galli.”
Le sue giornate erano sempre uguali: alla mattina presto celebrava la S.Messa, poi alle otto cominciava a ricevere i pazienti, a mezzogiorno un pasto veloce per poi tornare dai suoi assistiti fino a sera. 
 “Stregone di città” (come il regista Gianfranco Bettetini, titolò il film dedicato a lui), guaritore, psicologo, chi era in realtà don Giuseppe Gervasini a cui tanta gente dava fiducia? Era soltanto un uomo semplice, burbero ma anche dolcissimo, specialmente con i bambini. 
Pare che non gli piacesse proprio essere chiamato Pret de Ratanà invece che don Giuseppe o don Gervasini.
Ormai vecchio, stanco per le giornate faticose che trascorreva, sofferente per una infiammazione dei reni che non gli dava tregua e, si diceva, anche per un tumore tenuto volutamente nascosto, dopo alcuni giorni di agonia, il 22 novembre 1941 a 74 anni, dopo aver ricevuto i conforti religiosi, el pret de Ratanà rese l’anima a Dio. Ai suoi funerali parteciparono non meno di 3000 persone, formando una coda lunga due chilometri.
I suoi devoti fecero una colletta per permettere a don Gervasini di essere sepolto al Cimitero Monumentale, dove, sulla sua fossa, sopra un basamento di marmo nero, fecero erigere una statua in bronzo con la scritta: “Sacerdote don Giuseppe Gervasini - 1.3.1867 / 22.11.1941 - La fiumana dei tuoi beneficati ti ricorda e ti ricorderà sempre.”
Nel settembre 1955, a 14 anni dalla sepoltura al Settore B, la salma venne traslata al Riparto XX, in fondo, sulla sinistra, vicino al muro di cinta del cimitero, per ovviare alle lamentele dei parenti dei defunti sepolti vicino alla sua tomba. Dove si trova ora vi è un ampio spazio che permette ai suoi fedeli di riunirsi in preghiera e, ancora oggi, a 73 anni dalla sua morte, è il luogo più visitato, coperto da fiori sempre freschi e lumini, del Cimitero Monumentale.

22 novembre 1996 - ore 17 - Sono all’interno del Duomo di Milano, affollatissimo, in occasione della S. Messa per il 55° della morte di don Giuseppe Gervasini, officiata da mons. Angelo Majo che mi ha rilasciato questa intervista: “Sono molti fedeli a chiedere che venga ricordato questo sacerdote. Anche se è trascorso più di mezzo secolo dalla sua morte c’è tanta gente che lo ricorda e questo indica la riconoscenza e la stima per questo sacerdote povero e amico dei poveri, ma che ha fatto tantissimo bene. Quanta e quanta gente ne ha un ricordo carissimo per il bene ricevuto sia nel corpo che nell’anima, perché tutti noi sappiamo che era un erborista, un guaritore, quindi molti si rivolgevano a lui per ottenere la guarigione del corpo, ma lui ne approfittava per richiamare anche il pensiero di Dio e dell’anima”.
Tra il brusio della folla, dopo la Messa, si distingue qualche parola:
Tranquilla: “Ha guarito mia madre con le sanguisughe”.
Elena: “Papà è guarito con delle erbe”.
Annamaria: “Ha guarito la mamma con una pezza di lino e unguento per impacchi”.
Eleonora:  - che ha con se in Duomo una borsa per la spesa contenente, dice: “on colombin handicappaa che el scanchigna on poo in del camminà” - ricorda che andava dal pret fin da bambina: “don Giuseppe sembrava burbero, spaventava, invece era buono!”.

 Vi saluto con un proverbio che mi disse, durante un’intervista, la signora Erminia di Cascina Linterno:
“ El pret de Ratanà tutt i mài i e fa scappà! “
Roberto Marelli