IL RISORGERE DEL MALE 2

Ed Lombain era morto per un attacco cardiaco un mese prima, lasciando tre ex mogli e tre figli forse inconsolabili ma non certo quanto il suo nutrito pubblico di lettori, fra i quali mi inserivo anch’io.

- Andrò a parlare con la moglie, – decisi. – È di origine slava, mi pare di ricordare…

- Sì. Ha un nome strano… Gracida. Gracida Mitridevic.

Evocai la figura della detentrice di quel nome, una mora alta e magra con uno sguardo nel viso simile a quello di un uccello che gracida, appunto. Ero curioso di conoscerla, per ascoltarla e giudicarla. Perché non si può non farsi un’opinione su una persona dopo averla conosciuta.

- Va bene, Linda: mi metto subito al lavoro. E non disperare: può essere che Philip stia bene, che non gli sia successo nulla di irreparabile o di non riparabile.

- Oh, Mike… Tu non immagini quanto io lo ami…

Lo immaginavo benissimo, invece. La loro era una coppia anomala ma perfettamente rodata, che pur tra gli inevitabili alti e bassi che una unione da sempre e per sempre comporta aveva saputo solcare il mare dell’esistenza restando sempre a galla, perché il rispetto reciproco esistente fra i due non poteva non vincere. Linda era un po’ come una seconda mamma, per Phil. Probabilmente tutta l’ironia e il sarcasmo di questi derivavano dall’ironia che lui provava nei confronti di sè stesso, dalla sua fragilità minata da un sentimentalismo che pudicamente mascherava con una ironia tanto feroce quanto innocua. Ed ora che la maschera era probabilmente caduta, e per sempre, dovevo trovare il punto in cui giaceva.

Ed Lombain aveva vissuto per oltre trent’anni nel Connecticut, Stato confinante con quello di New York ma ben lontano da questo per quanto riguardava la qualità della vita che vi si conduceva.

Anche questa era stata una delle tante contraddizioni – sebbene la meno vistosa – di quel grande scrittore, il quale scriveva continuamente lettere d’amore alla Città, come lui chiamava New York, ma aveva smesso di abitarci ormai da decenni. Un po’ come Sophia Loren, la quale parlava continuamente della sua Napoli ma se ne guardava bene dal tornarci a vivere (cosa quest’ultima che mai aveva fatto, visto e considerato che era stata Pozzuoli la cittadina nella quale aveva vissuto da bambina e Roma la grande e bella città in cui dopo esservi nata era tornata a vivere quando ancora era una ragazzina).

I coniugi Lombain avevano vissuto la loro breve love story: dieci anni esatti, nei pressi di una cittadina tranquilla di poche case e di molte piante, abitando nella campagna circostante dove lo scrittore aveva acquistato una splendida villa di stile europeo costruita con grigie pietre di arenaria e ricoperta di vegetazione.

Avevo il sospetto che la mascolinità del vecchio scrittore fosse stata invece ricoperta di un velo pietoso, che la vecchiaia impietosa e le malattie precedenti: un infarto più che serio lo aveva colpito nello stesso anno del suo terzo matrimonio, seguito dal recente tumore alla laringe, rendevano di fatto problematica. Della attuale moglie era talmente e totalmente infatuato più che innamorato da dedicarle tutti i libri che era andato via via scrivendo negli ultimi otto anni, vale a dire dall’anno del loro matrimonio celebrato a Venezia con rito ortodosso per far piacere alla compagna di origine slava (lui era personalmente contrario a qualsiasi religione), più la dedica dei precedenti libri pubblicati nel passato e che si andavano gradualmente ristampando. Per lui la slava dallo sguardo di brace, che gli aveva fatto sciogliere lo sguardo dei suoi occhi azzurro ghiaccio, rappresentava l’unico grande amore della sua vita, e al diavolo le dichiarazioni fatte alle precedenti mogli. Tutto il passato veniva azzerato dal presente, tutto il vecchio veniva sostituito dal nuovo.
Antonio Mecca