IL RISORGERE DEL MALE 5

Anche il fatto di rifiutare il computer in un’epoca dove sembrava non se ne potesse fare assolutamente a meno contribuiva a rendermelo simpatico.

Quando mi feci un giro nel parco entrando dal cancello ovest situato nei pressi dell’abitazione di Sanderson, notai che la panchina piazzata sotto un grande albero dalle foglie verde smeraldo era occupata da un uomo intento a leggere da una risma di fogli.

Ero stato fortunato. Si trattava di Donald Sanderson in persona. Chi lo sa se era intento a rileggere un Sanderson o un Kelly?

Mi avvicinai lentamente, fino a quando non sollevò il viso dal foglio che stava leggendo, una grossa penna tenuta fra l’indice e il medio della mano destra, gli occhiali da vista dalla montatura dorata le cui lenti riflettevano la luce del sole di metà mattinata e, forse, anche l’intelligenza che dagli occhi si rifletteva dalla sua mente prodigiosa.

Gli sorrisi.

- Mr. Sanderson?

Lui rispose al mio sorriso con un cenno affermativo quanto prudente, perché la mia stazza e la mia faccia non sono propriamente rassicuranti. Se mai, assicuranti: un ricovero ospedaliero non certo dei più soavi nel reparto fratturati.

- Mi chiamo Hammer, e sono un investigatore privato. - Accentuai il sorriso. - Non sono una delle sue creature, Mr Sanderson, ma un detective in carne e ossa. Carne soprattutto - aggiunsi con un ghigno di simpatia nei suoi confronti. Gli mostrai la licenza. Si rassicurò.

- Confesso che un po’ mi aveva spaventato, signor Hammer.

Indicai il dattiloscritto che reggeva in mano: - È un Sanderson o un Kelly?

- Un Kelly. Come saprà, sono già alcuni anni che sono tornato a scrivere di Barker.

Annuii. Barker era un gangster spietato e fortunato, che quasi sempre riusciva a sfangarla. Pur essendo storie violente quelle che lo vedevano protagonista, la violenza descritta da Kelly era accettabile e non disgustava come quella di molti suoi colleghi più giovani ma meno dotati che puntavano sulla crudeltà più efferata con la scusa che la realtà è questa. A costoro io rispondo così: anche la realtà quotidiana dell’essere umano è fatta di momenti disgustosi che lo vedono al cesso con le dita nel naso, ma a me e a moltissimi altri piace vederlo in situazioni più dignitose. Delle altre, è sufficiente intuirle.

- Avrei bisogno di parlare un po’ con lei, Mr. Sanderson - spiegai. - Sto lavorando a un caso nel quale è coinvolto un mio collega, un investigatore privato del quale si è persa ogni traccia.

Parve immediatamente interessato.

- Si sieda, Mr. Hammer.

Così dicendo si spostò di lato sulla panchina per farmi posto. Sedetti.

- Non intendo portarle via molto tempo, Mr. Sanderson - lo tranquillizzai. - So che lavora molto,

e bene. Sono anch’io un suo lettore. Parve lusingato.

- Ne sono lieto - disse. Andai al sodo.

- Un mio collega: Philip Raymond, era stato incaricato da un suo collega e amico: Ed Lombain, di sorvegliarne la moglie. Dopodiché, di lì a non molto, sono capitate due cose: Lombain è morto

per un attacco di cuore, e Raymond è scomparso. Siccome sono al corrente dell’amicizia che lei

aveva con Lombain, gradirei sapere se il suo amico può averle confidato qualcosa a proposito.

Lui annuì, quindi rispose.

- Sì, E mi aveva detto della cosa. È stato all’incirca due settimane prima della sua morte.

Ci eravamo visti a casa mia, dove lo avevo invitato a bere un drink. Avevamo parlato di varie

cose, tra le quali dei nostri rispettivi lavori. Sapevo che stava scrivendo il secondo romanzo di una nuova serie e che in autunno sarebbe apparsa la riedizione di un suo vecchio romanzo degli anni ’50 che stranamente aveva deciso di riscrivere. Gli avevo chiesto della sua nuova moglie, Gracida, e di come andasse il matrimonio, se era felice. Lui mi aveva confidato di essere innamorato di lei, e anche molto geloso. E di avere contattato un investigatore privato perché la seguisse, dato che lei spesso usciva per suo conto e lui aveva timore che si potesse incontrare con un amante. Così si era rivolto a questo investigatore che adesso lei mi ha detto chiamarsi Raymond, il quale lo aveva rassicurato sul comportamento della moglie. Che aveva sì incontrato un uomo, in un albergo sulla Quarantaduesima Strada; ma quest’uomo era suo fratello, giunto a New York senza che Ed ne sapesse nulla. Il fatto era che il cognato a Ed non piaceva granché: era uno sbandato, uno che forse - su di lui almeno aveva fatto questa impressione - con la giustizia manteneva qualche pendenza. Ecco perché Gracida non lo aveva informato della visita del fratello.

Rimasi in silenzio a riflettere.

- Ne aveva poi parlato con la moglie? – chiesi quindi.

- Questo non lo so. Non ci siamo più visti né sentiti, perché purtroppo lui è morto di lì a poco.

- Qual era l’albergo che ospitava il cognato?

- Non me lo ha detto, anche se lui lo deve avere saputo. Mi disse infatti che si trattava di un hotel

   da quattro soldi.

- Nient’altro che si ricorda a proposito?

Scosse il capo.

- Ricordo solo la pena che mi faceva. Quando si è vecchi si hanno molte cose di cui doversi preoc-

   cupare senza bisogno che se ne debbano acquisire altre costituite dai problemi provocati da una

   moglie ancora giovane. Perché lui sembrava vivere solo per lei.

- E solo per lei, forse, è anche morto – aggiunsi.
Antonio Mecca