STELVIO DI SPIGNO

Lettera ai viventi



Come sempre, da solo, guardo il mare,

la sua lontananza imbevuta di destino,

e della luna il raggio appare inestinguibile:

è il senso del tutto, che ci rovina addosso.


Nessuna pace può inondare le radici

mie e di quanti hanno incontrato il mondo:

urlano senza requie i miei morti e i miei cari,

ma tra campi di pietre piantati nel cuore

fremono gli scartati della mia città

come topi dentro un’inondazione.


Li ho visti lacerarsi come fiere infuocate,

le loro viscere come nazioni sconfinate,

non hanno avuto luce mentre io ne ho avuta 

[ troppa.

Sono stato a guardare, ma ora abiuro

le lettere consuete, ho ribrezzo 

della mia stessa voce.


Solo per loro oggi devo camminare, incontrare

le loro facce una a una, cambiarle e non tradirle.

Quanto grande è il dolore, maggiore sia l’offerta.

Per la mia indifferenza incantata dal male,

devo implorare una ferma redenzione,

non voglio essere debole, non posso più morire.


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