MERCATO DEL LAVORO NEWS
- 03 dicembre 2019 Cronaca

Occupazione: stagnazione e primi segni di decrescita
Nonostante i toni consolatori usati dalla Rai e da gran parte dei
media i dati sul mercato del lavoro ISTAT relativi al mese di ottobre
non sono affatto positivi, e neanche stabili. Intendiamoci: non si
tratta di numeri disastrosi, ma indicano
un trend orientato alla decrescita e, peggio ancora, corroborato da dati di altra fonte che confermano la stessa tendenza.
Vediamo i dati indicati come “buoni”: il numero totale degli occupati
aumenta rispetto a settembre dello 0,2%. Tuttavia il valora tendenziale
(cioè rispetto a ottobre 2018) è pari a +0,9%: il che significa che la
curva dell’aumento dell’occupazione tende ad appiattirsi.
Ma veniamo ai numeri assoluti: gli occupati sono +46.000 rispetto a
settembre. Di questi però solo 2.000 sono a tempo indeterminato, 6.000
sono contratti a termine e ben 38.000 sono lavoratori autonomi. Il che
di per sé non è un fatto negativo, ma dopo un bel po’ di mesi in cui
questo dato scendeva resta il dubbio che si tratti di lavoratori
dipendenti che trovano una soluzione più conveniente (per se stessi e
per l’azienda) al riparo della rinnovata flat tax per gli autonomi.
O se addirittura, come adombra Di Vico sul Corriere, potrebbe
trattarsi di persone che hanno deciso di riaprire la Partita IVA dopo
aver preso atto che i minacciati inasprimenti del trattamento fiscale
dei regimi forfettari non esistono.
In questo caso si tratta o di persone che aprono la Partita IVA
perché “non si sa mai” o per fatturati marginalissimi. Tutt’al più può
indicare una riemersione parziale dal sommerso, ma non certo nuova
occupazione. Cosa che comunque non saremo mai in grado di sapere con
certezza perché questi dati sono campionari, e non incrociati con i
Codici Fiscali. Come del resto quelli delle Comunicazioni Obbligatorie,
che pur rappresentandola totalità dei movimenti reali, non sono
anch'essi riferiti ai Codici Fiscali. In sostanza:
l’aumento nominale dell’occupazione è da ascrivere ai contratti a termine e alle partite IVA.
Del resto anche in termini tendenziali (ottobre 2019 su 2018) il
lavoro a termine aumenta in misura percentuale più di quello stabile
(+1,6% contro 1,2%) nonostante le “grida” contro i contratti a termine. A
questo proposito è bene notare che a Settembre (ultimo dato INPS
disponibile) soltanto il 4,5% delle assunzioni o trasformazioni a tempo
indeterminato ha fruito dell’esonero contributivo previsto dal Decreto
Dignità. D’altra parte, a proposito degli esiti del Decreto Dignità,
dobbiamo prendere atto che
il numero dei lavoratori a termine nel mese di ottobre è di 3.118.000, cioè il numero assoluto più alto mai registrato,
con un’incidenza pari 17,2% (17,18% a settembre, 17,14% un anno fa).
Ossia: i contratti a termine continuano ad aumentare, anche se più
lentamente. Ma, attenzione, nonostante i proclami
non crescono i contratti stabili in proporzione alla crescita dell’occupazione:
sono l’82,78% del totale dei dipendenti a ottobre, erano 82,81% a
settembre e 82,85% un anno fa. Per non fasciarsi troppo la testa (come
però dovrebbe fare chi ha fatto della lotta al contratto a termine una
ragione di governo) possiamo rilevare che in Francia i contratti a
termine sono 16,7%, a fronte del nostro 17,2%, in Svezia 16,2%, in Gran
Bretagna il 15,6% e in Olanda addirittura il 21,4%. Il numero totale
delle ore lavorate non riceve beneficio dal trend occupazionale: il 38%
delle assunzioni fatte nel corso del 2019 finora sono state part- time.
Il che ovviamente non significa che questa sia la percentuale di part-
timers sugli occupati, ma che la percentuale acquisita (18,4% a fine
2018) non tende a diminuire, anzi! Il che non è un fatto negativo in sé
(può aiutare l’occupazione femminile) ma
certifica il calo delle ore complessive lavorate nell’economia italiana, che sta confermandosi come la caratteristica più preoccupante della ripresa post crisi del Paese.
Veniamo a un altro dato celebrato: diminuisce il tasso di
disoccupazione raggiungendo il 9,7%, con un calo dello 0,2% rispetto a
settembre. Senonchè questo dato apparentemente positivo è dovuto a un
calo del tasso di attività che scende di 0,1% toccando il 65,7 (stiamo
sempre parlando di variazioni congiunturali). Particolarmente
significativa questa relazione per la classe di età più giovane, per la
quale si conclama una appariscente diminuzione del tasso di
disoccupazione di 0,7 punti, in presenza però di un aumento di 0,4 punti
del tasso di inattività.
In definitiva l’aumento del tasso d’occupazione è minimo (+0,2%)
verosimilmente falsato dal dato ambiguo della crescita degli autonomi.
La crescita del tasso di inattività determina l’effetto quasi
esclusivamente statistico di un calo della disoccupazione (da notare che
il maggior incremento dell’inattività è nella fascia giovane, tra 15 e
34 anni, con un +0,8% al netto degli effetti demografici, che invece
normalmente favoriscono questa classe d’età).
Il Centro Studi di Confindustria prevede come esito dell’ultimo
trimestre un calo tendenziale di 1% della produzione, come conclusione
di una congiuntura che vede una perdita di 0,3 punti a novembre rispetto
a ottobre. Si tratterebbe del
primo segno negativo della produzione dal 2014!
Un dato interessante in proposito è quello che ci dice che nelle
imprese fino a 15 dipendenti il trend delle assunzioni è rimasto
abbastanza stabile nel corso del 2019 (da 673.000 complessive nel primo
trimestre a 670.000 del terzo), in quelle di dimensioni superiori si
manifesta un’evidente flessione: le aziende da 16 a 99 dipendenti calano
da 448.000 a 389.000, quelle da 100 in su passano da 634.000 a 533.000.
E questa è la fascia di imprese più orientate all’export e a
programmare l’utilizzo delle risorse: ora, nei primi tre trimestri 2019
il 37% delle assunzioni fatte sono state a termine, più un 12% di
somministrazioni.
Totale:
il 50% delle assunzioni non sono stabili: il che dice molto delle aspettative delle imprese e di ciò che si prepara sul terreno dell’occupazione.
A cura di Claudio Negro