Con "A parer mio" sapeva suscitare nei lettori interesse e fascino per la cultura

Quest'anno ricorre il novantesimo anniversario di Beniamino Placido, nato il primo febbraio 1929 a Rionero in Vulture (provincia di Potenza) e morto a Cambridge il sei gennaio 2010. Beniamino, zio dell'attore e regista Michele Placido,  nacque e visse nel paese lucano - patria anche dell'illustre meridionalista Giustino Fortunato - fino agli anni che precedettero il suo ingresso al liceo Dante Alighieri di Roma, dopo approdò all'Università della Sapienza. Quasi sosia di Woody Allen perché gli somigliava molto, e amante della Letteratura angloamericana che aveva studiato negli Stati Uniti nell'autunno del 1963 e che poi insegnò all'Università della Sapienza, dopo avere lasciato la carica di consigliere parlamentare della commissione agricoltura. Scrittore talmente raffinato da riuscire a trasformare e a raffinare a sua volta anche materiali considerati grezzi come la cosiddetta paraletteratura fumettistica, poliziesca e propriamente tutta quella di consumo nonché di nobilitare la Televisione trattandola per quella che realmente è: un contenitore attraverso cui transita (sic transit gloria mundi) tutto e il contrario di tutto, programmi demenziali e programmi culturali, talk-show interessanti e dibattiti noiosissimi, film appositamente realizzati per essa non di rado assai ben fatti, Beniamino Placido si fece conoscere soprattutto a partire dal 1976, anno di fondazione del quotidiano "La Repubblica" sul quale pubblicò da subito svariati articoli di cultura che partivano magari da una persona o da una cosa per poi: come i raggi di una ruota di bicicletta che partono dal mozzo e si irradiano per 360° consentendo alla ruota di girare e di procedere lungo la strada che l'essere umano ha percorso nel corso dei millenni, parlare di argomenti tra i più svariati fra loro. Nel 1986 lo scrittore inaugurò la rubrica di critica televisiva "A parer mio", per la quale produsse circa 1500 articoli. Ricordo il piacere che mi procurava la lettura di questi articoli, scritti da un intellettuale che non se la tirava ma che era in grado di suscitare in chi lo leggeva interesse e fascino per la cultura che sembra in apparenza nutrirsi solo di se stessa ma che invece nutre anche chi sa amarla e rispettarla. Passano altri dieci anni e poi: nel 1997, Beniamino Placido lascia l'impegno gravoso di una scrittura pressoché quotidiana per affrontare nell'inserto "Il Venerdì di Repubblica" una rubrica settimanale di Cinema e Tv. Dal 1998 al 2004 parte una sua nuova rubrica di critica intitolata "Belvedere", la quale come l'Apollo omonimo affacciato sulla terrazza romana che dà sul Vaticano, mostra la bellezza insita nel panorama meraviglioso che si può vedere o perlomeno intravedere quando l'intelligenza umana lo produce al suo meglio in libri, sculture, dipinti, musica. Fu però con la sua rubrica televisiva che lo scrittore seppe conquistare il proprio numeroso pubblico. A chi gli chiedeva cosa significasse per lui quella rubrica, così rispondeva: "Credo dipenda dalle generazioni, e per la mia generazione significa affacciarsi alla finestra e vedere che cosa accade, chi passa, che cosa si dice, né più né meno". Beniamino Placido non si comportava da snob come molti intellettuali, i quali imputavano alla Televisione tutti i mali possibili e immaginabili, in specie l'incultura che secondo loro trasmetteva. Né era di quelli che pur non avendola vissuta o se sì, ben poco sapendo o ricordando com'era l'esistenza prima dell'avvento in Italia della Televisione propagandavano un passato arcadico dove ci si poteva parlare continuamente e si era in tal modo più umanamente felici. In Tv l'intellettuale lucano partecipò ad alcuni programmi: "16 e 35", nel 1978; "Serata Garibaldi", nel 1982; "Serata Manzoni", nel 1985; "Eppur si muove", nel 1994. Al cinema partecipò ai due film di Nanni Moretti "Come parli frate?" e "Io sono un autarchico", a "Porci con le ali" e a "Cavalli si nasce". Sposò Nadia Fusini, ottima traduttrice e biografa di Virginia Woolf nonché autrice in proprio di diversi romanzi, dalla quale ebbe la figlia Barbara. Lui di libri ne pubblicò solo alcuni e di piccole dimensioni, ma che a una dimensione più alta portano chi li legge: "Tre divertimenti - Variazioni sul tema dei Promessi Sposi, Pinocchio, Orazio"; "La televisione col cagnolino". Nell'anno della sua morte la casa editrice Laterza pubblicò un volume che raccoglie 56 suoi articoli apparsi nella rubrica "Nautilus" di "Repubblica" dal 1977 al 2007. In questi articoli si passa dall'analisi di un film: italiano o straniero che fosse a quella di un libro, dal ricordo del proprio paese di origine a quello di un autore diventato oggi cult come l'americano Dashiell Hammett, ex detective privato passato alla scrittura e poi alla storia quale maestro indiscusso del racconto e del romanzo poliziesco. Beniamino Placido in questo articolo ne loda lo stile, situandolo sul giusto scalino della scala letteraria americana e non solo. È un vero peccato che non siano più apparsi altri libri dello scrittore nato nel profondo Sud e vissuto poi nella città di Roma per ben 60 anni. Era stato probabilmente lui, nella sua modestia, ad opporsi alla pubblicazione, perché sarebbe stata considerata datata. Invece, così come si può leggere un classico pur essendo stato scritto magari nei secoli bui dove l'unica luce era data dalle pagine illuminanti di alcuni libri, così si può leggere un libro contenente articoli con osservazioni e analisi che rappresentano lo spaccato di epoche trascorse ma non trascorse invano.

Antonio Mecca  


 

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