Il Giallo Delle Ore 8

INDAGINE IN BIANCO E NERO
Capitolo otto

Non avevo notato nessun’auto d’epoca parcheggiata lì nei pressi, del resto non pensavo neppure che il signor Larkin fosse presente, né lì, né più o meno nei pressi. Ad ogni buon conto, premetti il pulsante del campanello. Passarono diversi minuti, durante i quali non ottenni nessuna risposta. Allora tentai la maniglia del portone in legno, che però rimase chiuso. Tolsi dalla tasca una sorta di cacciavite e con la punta metallica della lama infilata nella serratura armeggiai per un po’, fino a sentire lo schiocco di apertura. Mi ritrovai in un androne a destra del quale si trovava una scala con ringhiera. Nelle cassette della posta, quella di Larkin riportava il consueto sovraccarico di volantini pubblicitari, che invece nelle altre mancavano perché probabilmente già svuotate dai loro legittimi proprietari.
Questo fatto non mancò di rincuorarmi.
Larkin abitava al secondo piano, che ospitava due appartamenti posti uno in faccia all’altro. Accostai l’orecchio alla porta. Non sentii nulla. Suonai allora il campanello del probabile assassino di Bellamy nonché di Barker, ma anche stavolta il risultato che ottenni fu il silenzio. Abbassai la maniglia, la porta restò chiusa. Sempre utilizzando la lama dello speciale cacciavite mi fu possibile penetrare nell’appartamento, un bilocale con cucina, soggiorno, camera e bagno. Accesi le luci, illuminarono un soggiorno di discrete dimensioni e un modesto arredamento, una camera con letto a due piazze, armadio a tre ante, due comodini, un comò. Aprii le antine dell’armadio, notando vari spazi vuoti fra le diverse grucce presenti. Anche i cassetti del comò presentavano pochi indumenti, e idem quelli dei comodini. Ad ogni buon conto diedi un’occhiata sotto il letto, ma non rilevai presenze umane relative a cadaveri o a persone legate e imbavagliate.
Tornai nel soggiorno, appuntando il mio sguardo sulle pareti, dove notai poster di Città del Messico, e diversi oggetti messicani presenti sul tavolo. I poster sembravano recenti. Notando alcune protuberanze, li sollevai dalla parte bassa e notai alcuni chiodi infissi sulla parete, come se in precedenza avessero portati appesi dei quadri. Perquisii i mobili, e aprendo i cassetti trovai in alcuni di essi proprio dei quadretti, tutti riproducenti la città americana per eccellenza: New York.
Ora ero convinto di avere capito la faccenda, per cui spensi le luci e lasciai l’appartamento.
Una volta in strada, camminai per il quartiere, incrociando persone ed esercizi commerciali. Tra questi, distante forse un miglio dalla casa di Larkin, intravidi una gioielleria. Notai in vetrina, fra gli oggetti presenti, anche un orologio in radica a ponticello con il quadrante dorato sistemato nel mezzo. Mi accostai alla porta di ingresso e suonai il campanello. Un uomo dietro il bancone sbloccò la serratura, consentendomi di entrare. Restò cautamente dietro il banco, fissandomi con attenzione. Le mani erano posate sul ripiano del banco, pronte probabilmente a raggiungere un probabile ripiano con sopra una probabile arma dalla sicura già sbloccata. Si trattava di un individuo sulla sessantina, con occhiali dalla montatura di corno scura. Io i miei occhiali me li ero tolti nel momento in cui avevo suonato il campanello e ora, mentre avanzavo verso di lui, lo osservai con attenzione. Era un uomo di media statura, leggermente in sovrappeso, leggermente stempiato. Gli occhi miopi sembravano fissarmi con la stessa vacua fissità di quelli dei pesci dietro le pareti di un acquario.
- Buongiorno - salutò con voce dal tono neutro.
- Buongiorno - risposi sullo stesso tono. Aggiungendo poi: - Ho notato in vetrina quel bell’orologio a ponticello.
- Sì, certo - sembrò dismettere la sua aria sospetta. - È interessato all’acquisto?
- Sì. Anche perché ne ho visto uno uguale nella casa di un tale che penso lei conosca.
Sembrò tornare sospettoso nei miei confronti.
- Lei chi è? - chiese, sempre più incerto nel valutarmi.
- Un detective privato - risposi, mostrandogli la licenza che già prima di entrare avevo tolto dal portafoglio. Non sapendo o non volendo dire qualcosa, non seppe o non volle dire nulla. Continuai.
- Da quanto tempo non vede Robert Larkin?
Si fece cauto.
- Lo conosco appena. Ha comprato da me l’orologio del quale mi parlava prima, più un altro paio di oggetti nel corso degli anni.
- E lei, invece, ha acquistato a sua volta qualcosa da lui?
- Non capisco - mormorò a mezza voce.
- Capisce benissimo, invece, poiché è della collana che sto parlando. Una collana di diamanti, che probabilmente ha ricevuto da lui ieri dietro pagamento da parte sua di una più che discreta somma.
A quanto ammonta, questa somma?
Si ostinò nel mantenere il silenzio.
- Guardi amico - gli dissi - che se non lo dice a me lo dovrà dire alla polizia, oppure: peggio ancora, al legittimo proprietario della collana che il suo amico ha rubato dopo avere assassinato una persona.
Quindi, pur gestendo una gioielleria, le conviene smettere di fare il prezioso
Abbassò il capo, quasi fosse caduto in penitenza.
- Non ero a conoscenza della provenienza del gioiello - rispose mogio. - Altrimenti giammai lo avrei acquistato.
- Giammai, vero? Cosa le ha detto, al riguardo? Di averla avuta come mancia dopo avere realizzato un servizietto a una gentile signora? O vinta alla lotteria rionale?
Non disse nulla, tanto per cambiare.
- Per cavarti le parole di bocca bisogna utilizzare la pinza del dentista, vero? E chi lo sa che non si otterrebbe qualcosa di più, oltre al dente avvelenato che di sicuro avrai al posto di quello del giudizio, dato che se lo avessi avuto forse avresti evitato di agire da criminale. Quanto valeva, quella collana? E quanto invece l’hai pagata?
Questa volta non si fece pregare.
- Secondo la mia valutazione era sui centomila dollari. Io gliel’ho pagata la metà: cinquantamila.
- In contanti o con assegno?
- Con un assegno della American Bank, la mia banca.
- Dove si trova Larkin, adesso?
- Non lo so. So soltanto che lavora per il signor Barnes.
- In qualità di cosa? Autista, guardia del corpo, assassino prezzolato…?
- A volte gli fa da autista e da guardia del corpo.
- Nonché da sicario. Solo che questa volta ha gabbato pure lui, poiché la collana è stata rubata alla moglie e quindi portata qua affinché tu gliela acquistassi. Da quanto ti aveva messo sull’avviso?
- Me ne aveva parlato da una settimana circa. Quando me l’ha portata, io l’ho acquistata pagandola con un assegno.
- Che adesso dove riscuoterà? Nel luogo dove è scappato, oppure dalla sua banca in loco?
- Io non so nulla, glielo giuro! Non eravamo amici.
- Complici sì, però. Perché si può non essere amici, ma amici degli amici invece sì.
Gli chiesi poi di descrivermi Larkin. Me lo descrisse come un uomo sulla cinquantina, la faccia imbruttita da una malattia della pelle che la rendeva pustolosa. L’arrivo di un’altra persona creò il diversivo che per lui ci voleva. Sbloccò la porta consentendo a un donnone extra large di poter fare il suo ingresso. Indossava una pelliccia color caffè latte annacquato caratterizzante gli starbucks che li producevano. Aveva i capelli probabilmente tinti, le labbra pure, i denti incapsulati.
Ad osservarla da una distanza ridotta eri tu a volerti allontanare perché ben poco attratto da quel monovolume intabarrato. Con voce finto bambinesca salutò il gioielliere beneficiando anche me del suo sorriso.
 - Arrivederci, mister - salutai il complice di Larkin. - Senora… - aggiunsi poi con un sorriso benevolo rivolto alla donna. Quindi uscii, inforcai gli occhiali scuri e tornai in direzione della mia auto dalla carrozzeria chiara.


Antonio Mecca

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