IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 15

Riemerse alla vita gradualmente, la testa appesantita da un cerchio quasi fosse quello di un’aureola scivolata in basso a un santo blasfemo. Doveva essere il cervello a fare le veci della lampada, a illuminare ciò che vedeva. Ma al momento quello che vedevano i suoi occhi veniva registrato a fatica. Eppure, non avvertiva dolore. Quella sonnolenza leggera che quasi considerava leggiadra, quella spossatezza che lo faceva navigare in una semi incoscienza dalla quale affioravano ricordi erano a lui gradite. Gli riportavano avvenimenti del suo passato in parte avvenuti e in parte soltanto sognati. Il dormiveglia lo portava a lambire senza correre il pericolo di annegarci.

La porta della stanza nella quale si trovava ospite suo malgrado si aprì, e una figura femminile apparve inquadrata sulla soglia. Una ragazza, che lo scrittore riconobbe subito.

- Marie… - mormorò.

- Come vi sentite, Frédéric? – chiese lei in apparenza preoccupata.

- Mi ascolto ma non mi sento – rispose lui prontamente.

Lei gli sorrise, comprensiva, e lui accettò quel sorriso come un qualcosa di soavemente bello, come sempre gli appariva il sorriso di una ragazza giovane e bella. Perché Marie, o Hélène, bella e giovane lo era davvero. E quella malia che sapeva trasmettere a chi la guardava era come una garanzia riguardo alla sua esistenza, uno scudo che la proteggeva dal male ma anche dal bene altrui.

- Cosa volete ancora da me? - domandò Frédéric.

La ragazza sembrò esitare a dirglielo, ma questo non le impedì di farlo.

- Vogliamo da voi del denaro, che ci permetta di poter condurre un'esistenza meno grama di quella condotta finora, come già vi abbiamo detto ieri sera. Lo so, è brutto agire così. Ma voi siete ricco dopo essere stato povero, per cui potete capire. Centomila franchi non rappresentano poi una così grande cifra per quanto riguarda il vostro patrimonio.

- Ti esprimi molto meglio quando parli di soldi di quando parli di libri.

- Voi vi esprimete molto meglio quando scrivete.

L'anziano scrittore sorrise.

- Lo so. È sempre stato così. Ed è per questo che ho scritto tanto.

- E ancora tanto scriverete, Frédéric. Vi abbiamo chiesto solo di firmare due assegni a noi intestati, e adesso di attendere qui per qualche giorno, il tempo necessario affinché noi li possiamo incassare e lasciare il Paese.

- Poi, cosa mi accadrà?

- Vi cloroformizzeremo un'altra volta, e quando vi risveglierete potrete uscire di qui ed essere nuovamente libero.

- Se mi risveglierò.

- Perché non dovreste?

Darc si limitò a rispondere con un sorriso, che poco smagliante com'era rappresentava una risposta in sottotono. Poi chiese dell’altra metà dell’associazione a delinquere.

- È andato al lavoro. Sarà qui fra circa due ore. Se adesso desiderate recarvi in bagno, potete farlo.

- Sempre sotto la tua stretta sorveglianza, immagino.

- Immaginate sporco, Frédéric. La mia non sarà una sorveglianza così totale.

- Va bene. Provo a fare due passi.

Assistito dalla ragazza, che lo aveva preso sottobraccio, lo scrittore si sollevò in piedi e fece con quattro passi, fino a quando fu in grado di potersi muovere da solo. E di vedere con i propri occhi e con quelli di Antoine, il suo personaggio di fantasia. In lui era stato sempre così. Realtà e fantasia, scrittore e personaggio avevano finito per coincidere, e identificarsi l’uno con l'altro, permettendogli di vivere una esistenza a più strati. Come carta igienica di lusso, gli venne da pensare, e quindi da ridere.

La ragazza se ne accorse, e gliene chiese la ragione.

- Cose mie – rispose lui sempre mantenendo il sorriso. - Inutile riferirle.

Riprese a pensare all'ultimo accostamento da lui fatto. In fondo tutto il suo lavoro poteva benissimo ridursi a questo: a un pulirsi il deretano, perché tanto quei romanzi – seppur di successo – quanto potevano valere? Lui non era Hugo, Balzac, Maupassant, per citare i suoi conterranei: quelli sì che avevano saputo creare opere immortali che avevano sfidato il tempo, che erano rimaste e che per secoli, probabilmente per sempre, avrebbero dominato dalle scansie delle biblioteche dei classici. I suoi libri invece erano come le patatine: soddisfacevano sul momento, per poi venire dimenticati per sempre.

- Questo è il bagno – indicò la ragazza.

55- Grazie per avermi accompagnato. Ora credo che potrò fare da solo.

Marie sorrise. Lui si chiuse la porta alle spalle, non a chiave perché la chiave non c’era. La luce della plafoniera illuminava un locale di media grandezza, provvisto di tutti i comfort che un bagno decente può offrire. Frédéric approfittò del water, quindi del lavandino. Di questo passo sarebbe tornato ai suoi primi anni di matrimonio, quando si lavava poco ed era stata la sua prima moglie: Odette, a fargli conoscere i benefici delle saponette. E da allora aveva cercato di non farne più a meno. Tranne in occasioni particolari come ad esempio quella attuale.

Si guardò allo specchio, che gli rimandò l'immagine di un volto invecchiato e segnato dall’affanno.

Il suo viso non gli era mai piaciuto molto. Avrebbe volentieri cambiato i suoi bellissimi occhi per un volto più interessante. Ora poi che la malattia sembrava averlo arreso agli anni e reso più sofferente, più cattivo quasi, non si riconosceva più. Il suo Io non combaciava con l’esterno, e come avrebbe potuto? La carrozzeria era logorata dal lungo viaggio, mentre l'autista era ancora quello di un tempo, un autista della domenica!


Antonio Mecca

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