IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 34

Georgel fu di ritorno quella sera stessa accompagnato da una giovane donna munita di un grosso album da disegno più varie matite colorate. Si trattava dell’addetta agli identikit, una bella ragazza mora con un bel sorriso bianco che le illuminava il resto del viso.

- Monsieur Darc, pensavo di tornare domattina, come vi avevamo detto qualche ora fa, ma Jeanine si è liberata dal precedente impegno, e così ne ho approfittato. E insieme approfitteremo di lei, se ve la sente.

- Certo che sì – rispose lo scrittore, osservando la graziosa moglie come a chiederle approvazione.

Lei gli inviò in risposta un leggero sorriso, composto di un affetto il quale non significa amore, amore che implica anche l’affetto, ma di una certa camarederie che si instaura in una coppia dopo anni di vita in comune.

La ragazza era giovane, forse sui venticinque-ventisette anni, di statura media, magra, ben formata.

I suoi occhi erano molto belli, e la luce che emanavano intensa e magica. Frédéric pensò che erano davvero delle fate, molto spesso in grado di incantare gli uomini.

Peccato che spesso finivano col trasformarsi, in streghe. Ma chi ci pensa quando si è giovani?

- Buonasera, monsieur Darc - salutò la ragazza con voce fresca. - È un onore per me essere qui con voi.

- L’onore è tutto mio – le assicurò lo scrittore.

- Sono una vostra lettrice – continuò la ragazza. - E anche se non ho letto tutta quanta la vostra produzione letteraria, quello che ho letto l’ho apprezzato molto.

Frédéric si limitò a sorriderle, grato di quanto gli andava dicendo.

- Bien - mormorò Geogel rivolto a entrambi. - Possiamo cominciare?

- Sì. Direi di sì.

La ragazza aveva aperto il grosso quaderno e scoperchiato la matita che ora teneva in mano.

Il suo capo, rivolto allo scrittore, chiese:

- Capelli: lunghi o corti, lisci o ricci?

- Lunghi. Fino alle spalle. E lisci.

- Colore?

- Biondo.

La ragazza prese a disegnare dei lunghi capelli mediante matita con la mina gialla.

- Colore degli occhi?

- Verdi.

- Come erano, questi occhi? Di forma allungata, all’orientale, piccoli, grandi, stretti…?

- Erano di forma normale. Almeno quelli.

Jeanine disegnò due occhi di forma normale, che poi colorò di verde con l’apposita matita.

- Gli zigomi, ora. Piatti, rigonfi…

- Anche questi sul normale.

- Il naso? – chiese il poliziotto dopo che la sua assistente ebbe terminato di disegnare gli zigomi.

- Piccolo? Grande, storto, a peperone, con le narici rivolte all’insù…

Lo scrittore cercò di ricordare.

- Era piccolo - disse poi. - Regolare; bello.

La disegnatrice tracciò un naso di dimensioni standard. Un po’ come il suo.

- La bocca, invece: grande, piccola, con labbra carnose, sottili, prive o meno di peluria.

- Di peluria non ne ho notata. Ce la doveva avere tutta quanta sullo stomaco, visto quello che ha combinato

- ribatté lo scrittore.

I due poliziotti sorrisero, divertiti. La moglie sorrise anch’essa, ma tristemente. Il marito rispose, deciso:

- Era una bocca di dimensioni normali; rosea, carnosa, bella. Saporita non so, perché non ho avuto

occasione di assaggiarla.

Guardò Francoise, come a chiederle scusa. Ma lei che ben lo conosceva sapeva di potersi fidare. Relativamente.

- I denti, ora. Regolari, o qualcuno storto? Gli incisivi: distanziati, sporgenti come quelli di un coniglio,

bianchi, macchiati dalla nicotina, mancanti?

Darc ripensò alla bocca della graziosissima ragazza. No; certamente non ricordava, la sua bocca, quella di un coniglio. Il suo corpo, se mai, quello di una coniglietta.

- Erano denti regolari. Al contrario dell’irregolarità della sua esistenza.

La disegnatrice tratteggiò una bocca mediante una matita color rosa, e poi la dentatura delineandola con la matita scura. Il bianco del foglio rappresentò alla perfezione il candore dei denti.

- Ora il mento - riprese il poliziotto dopo avere concesso il tempo necessario alla sua assistente di terminare il disegno. – Puntuto, con una bozza, deviato magari da un colpo, liscio, ruvido, regolare.

- Era un mento regolare.

La ragazza concluse il disegno con il mento come ultima aggiunta.

- Il collo invece – proseguì implacabile il poliziotto: - era scoperto, si notava qualcosa? Una piccola

  cicatrice, dei nei, le vene in rilievo…

Frédéric ci pensò, cercando di ricordare. Ma non ricordava nulla forse perché nulla c’era da ricordare.

- Mi pare che fosse tutto a posto. Non ricordo qualcosa di fuori posto, tranne la mia presenza lì.

Antonio Mecca

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