IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 38

Il ragazzo scorse la luce di uno dei due bagni che da verde si tramutava in rosso. Esitò. Poi si decise. Si alzò a sua volta e con passo deciso raggiunse la toilette poco prima occupata dalla ragazza. Ascoltò. Quindi bussò, titubante. La porta si aprì subito e lei apparve sulla soglia, lo sguardo di brace. Una brace che lo aveva cotto a puntino. Allungò la mano e lo attrasse a sé. Quindi bloccò la porta. Si abbrancò a lui e alla sua innocenza come una piovra a uno scoglio, quasi a cercare nella solidità della pietra un approdo sicuro dai fondali infidi della sua anima. Lui dopo i primi momenti di esitazione si accese come un fiammifero. Ed eccolo insaziabile toccare dappertutto, sollevarle la gonna e sfiorarle le mutandine, toccare il suo sesso che pareva palpitare sì, ma meno del proprio cuore. Fu un rapporto intenso seppur breve, eseguito da un profondo silenzio.

Quando tutto fu terminato, il ragazzo si strinse alla ragazza come per ringraziarla. Lei rimase immobile per un minuto intero; poi si distaccò dolcemente e lo sospinse fuori nel corridoio. Davanti alla porta si trovava una robusta matrona, che alla vista dei due indietreggiò scandalizzata. Lui, arrossendo come un pomodoro, tornò al proprio posto.

Rallentando sempre più, il treno frenò nella stazione Nord di Valencia. I due giovani scesero, ciascuno recando il proprio bagaglio con all’interno il proprio bottino. Viaggiavano con due semplici borse di tela, che non attiravano lo sguardo né l’attenzione altrui. Giunti sul piazzale esterno si guardarono intorno. Era una bella giornata di sole, alla luce rifulgevano i grandi palazzi della Plaza dos toros. Alla loro destra si trovava l’arena, mentre a sinistra l’albergo Zenit, un hotel a tre stelle, innalzava i suoi sei piani verso il cielo azzurro della città. Attraversarono le strisce pedonali e presero per l’ingresso dell’hotel. La soglia era schermata da porte di vetro scorrevoli, che immettevano nell’ingresso moderatamente di lusso.

- Vorremmo una camera doppia - chiese Joseph all’impiegata della reception.

- Va bene – rispose lei con l’accompagnamento di un sorriso che metteva in mostra la sua bianca dentatura

che ricordava le nacchere impugnate da una ballerina di flamenco.

Marie pensò: cosa diavolo sorridi? Poi la donna richiese loro i documenti. Quindi la giovane coppia ricevette la scheda relativa alla camera 505, al quinto piano. Si diressero alla cabina dell’ascensore alla loro destra, sistemata tra una sala di accoglienza e quella adibita alla colazione mattutina e ai pasti frugali. Mentre la cabina si innalzava al quinto piano i due ragazzi si guardarono. Lui pensò, per l’ennesima volta, al mistero che lo sguardo di quella ragazza gli procurava. Era, il suo, un volto bello e insondabile, come quasi tutte le donne hanno. La commistione delle due cose, unito all’eccitazione accumulata nel viaggio, lo sospinsero verso di lei, che lo respinse. Non ne aveva voglia, e poi il ricordo del ragazzo italiano e del suo assalto quasi disperato oltre che inesperto su di lei era ancora troppo forte, troppo vivo, per cancellarlo con un altro rapporto questo sì brutale. Era sceso qualche ora dopo l’amplesso, beneficiandola di uno sguardo che sapeva di ringraziamento. E Marie gli aveva risposto con un sorriso lievemente ironico.

Adesso, nella loro stanza, la ragazza volle fare la doccia. Rimase sotto il getto d’acqua tiepida a lungo, gli occhi chiusi, utilizzando due delle quattro boccette di bagnoschiuma a disposizione. Poi tornò, avvolta in un accappatoio di spugna arancione, e si sdraiò sul letto.

- Mmm… - mormorò lui. – Come sei profumata…

- Per forza, sono una ragazza in fiore.

Joseph le si placcò contro. Lei lo scansò, rabbiosa.

- Non ora! Sei sudato e accaldato. Va a fare una doccia pure tu e poi ne riparliamo.

- Non ne ho voglia.

- E allora arrangiati.

Dirigendosi al proprio bagaglio ne tolse un abito di ricambio, che infilò con grazia e precisione. Poi accese il televisore, alla ricerca di un canale francese. Lo trovò, ma stava trasmettendo un talk-show del cui dibattito non le importava niente. Joseph si alzò dal letto e disse:   

- Dobbiamo trovare chi ci può preparare nuovi documenti. Quando poi li avremo in possesso, lasceremo

l’hotel e forse anche la città.

Quindi tolse dal bagagliaio il suo bottino e lo ficcò nell’armadio, occultato dal proprio vestiario.

- Speriamo bene - disse. - D’altronde cos’altro possiamo fare? Recarci in banca a depositarli? Rise.

- Adesso usciamo, Marie. Visiteremo la città guardandoci intorno. E non solo per ciò che riguarda i

monumenti, ma anche le persone.

Tolse dal portafoglio il denaro presente, e lo contò.

- Qui ci sono trecento franchi, e altri duecento li ho in tasca. Tu quanto possiedi?

- Duecento in tutto – rispose lei senza bisogno di contarli. Erano fissati già indelebilmente nella sua mente.

Tornarono alla reception, si fermarono per recuperare i loro documenti e lasciarono l’albergo. Girarono per la città spagnola in lungo e in largo, si diressero con l’autobus fino alla spiaggia e da lì al capolinea, presero poi a passeggiare sul lungomare costeggiante la stradina che potevano percorrere solo pedoni e ciclisti. Sulla spiaggia di sabbia finissima molti giovani giocavano a pallavolo ridendo e stridendo, ragazzi e ragazze con costumi succinti che mettevano in mostra la loro fisionomia, bella quasi sempre. In cielo si libravano aquiloni dalle forme più disparate, nonché qualche piccolo bimotore che sulla poppa reggeva uno striscione pubblicitario. La vita sembrava semplice e pacifica, e Marie pensò che non le sarebbe dispiaciuto vivere lì, in quella città meridionale baciata dal sole e accarezzata dal vento, dove la gente non portava dipinto sul grugno un perenne mugugno e poteva gioire delle piccole cose che sono poi le più importanti nella vita di chiunque. Joseph invece vedeva in quella città un immenso territorio di conquista, la possibilità concreta di socializzare con ogni donna giovane e carina che veniva da lui puntata per un’avventura. Marie se ne accorgeva, ma non gliene importava; non ne era innamorata, per cui una volta ottenuto il falso documento di identità avrebbe deciso se restare con lui o per suo conto, sempre in quella città oppure in un'altra, forse spagnola e forse no.

Antonio Mecca

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