IL SINDACATO DOPO LA PANDEMIA

I lavoratori non possono essere efficacemente garantiti solo da misure assistenziali, né da leggi (come nel Secondo Dopoguerra) che vietano i licenziamenti o, tantomeno, che riducano d’imperio l’orario di lavoro a parità di retribuzione. L’idea insensata di estendere di fatto in via permanente il reddito di cittadinanza si rivelerebbe presto insostenibile e risponderebbe solo ad esigenze elettorali. Sarà soltanto la ripresa in sicurezza delle attività economiche e il mantenimento delle quote di mercato ad offrire una vera tutela dell’occupazione. Ma per questo sono necessarie relazioni industriali partecipative, che identifichino l’azienda come una realtà complessa, in cui convivono interessi differenti e tra loro talvolta in conflitto, ma che persegue obiettivi di interesse comune sia dell’imprenditore che dei lavoratori.

Questa dimensione cooperativa, lontana tanto dal paternalismo padronale quanto dalla concezione antagonista della lotta di classe richiede cogestione delle scelte d’impresa e assunzione di responsabilità. Non serve dunque un revival di nazionalizzazioni, ma che si distribuisca subito liquidità alle imprese con forti iniezioni di finanziamento, anche a fondo perduto, e un robusto incentivo come la detassazione totale della contrattazione decentrata. In questo modo nelle imprese si potrà ripartire con accordi aziendali che promuovano l’efficienza, la produttività e la redditività delle imprese. La polemica di questi giorni circa la richiesta di un prestito da Fca dà l’idea dell’arretratezza culturale e del pregiudizio antimprenditoriale ancora così presente nel nostro paese. La stessa enorme difficoltà che si registra da tempo nel ritrovare profili professionali richiesti dalle aziende richiede capacità innovativa: abbandonare il tradizionale modello formativo rivolto più all’assistenza che al Istituzioni: l’individuazione e la gestione delle Politiche attive del lavoro, non dovrà più essere relegata a semplice funzione amministrativa, ad un gioco di incentivazioni e, dove va bene, alla professionalità delle Agenzie per il lavoro.

Nel sistema bilaterale sindacato-imprese vanno ricostruiti i sistemi formativi e del collocamento per rendere più fluido ed efficiente il mercato del lavoro: una funzione che il sindacato non può esercitare a livello aziendale ma soltanto territoriale, e che da sola basterebbe a giustificare l’esistenza delle confederazioni. Anche con l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea, gli investimenti pubblici per modernizzare l’apparato produttivo e le grandi opere infrastrutturali dovranno essere accompagnati dalla eliminazione delle patologie burocratiche (che senso avrebbero in caso contrario gli elogi ai genovesi per aver ricostruito, a tempi di primato, il ponte crollato?), e su questo terreno anche il Sindacato dei lavoratori pubblici dovrebbe svolgere un ruolo più propositivo ed incisivo sulla riorganizzazione dell’Amministrazione. In questo momento il sindacato, che ha la responsabilità di tutelare l’intero mondo del lavoro deve rivendicare l’assunzione di ruolo e responsabilità dei lavoratori all’interno di ciascuna unità produttiva come sfida costruttiva nei confronti degli imprenditori.

Senza condivisione parziale ma reciproca di ruoli e di responsabilità, il cammino sarà più difficile per tutti. Il “ritorno in fabbrica” è per il sindacato obiettivo strategico perché è l’unica via oggi per ottenere ruolo, difesa dell’occupazione e crescita retributiva. Ciò presuppone una rete autorevole di delegati, preparati e consapevoli di essere parte integrante dell’impresa, e in grado di rappresentare tutti i lavoratori dell’azienda. Per la prima volta ha sperimentato al proprio interno il ricorso alla cassa integrazione e vede delinearsi il pericolo di una crisi che potrebbe imporre anche alle più forti organizzazioni sindacali il peso, anche morale, di una ristrutturazione dei propri apparati. Rafforzare la propria base sociale in un progetto politico idoneo ad affrontare tempestivamente la nuova realtà vuol dire consolidare non solo le proprie radici ma l’intera struttura e aver costruito una nuova identità, che vale assai di più degli appelli rituali al “rinnovamento”.

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