L'ultimo cliente - 1

Il cadavere della donna strangolata era disteso ai piedi del letto, completamente nudo, offerto allo sguardo del ristretto pubblico presente costituito da insensibili uomini della polizia. L'insensibilità derivava dal fatto che erano uomini abituati ad avere a che fare con la morte violenta, ed evitavano quindi di lasciarsene coinvolgere più del necessario. Ciò che interessava loro era la causa di quella morte, e chi – per i motivi più disparati nonché disperati – l’aveva provocata, trasformando e sformando un essere vivente con le sue necessità, i suoi desideri, i suoi progetti in un corpo amorfo privo di vita. Al commissario Luigi Scalise la morte era sempre apparsa come un fatto prodigioso, un miracolo al contrario. Se la nascita rappresenta lo stupore gioioso relativo alla venuta al mondo di una creatura, di un nuovo essere vivente, la morte all'opposto – con la cancellazione di un individuo e di tutto il suo mondo interno – rappresenta la fine spesso immediata di esperienze di decenni che hanno contribuito a formare altre persone e altri mondi.
La donna era... una bella donna, solo un po’ sciupata dall’inevitabile trascorrere degli anni – quarantacinque al momento della morte – quel corpo nudo aveva eccitato e soddisfatto decine di uomini. Perché era stata una prostituta. Aveva esercitato in quell’appartamento di tre stanze che utilizzava solo per il suo lavoro per molti anni, sotto il nome di Roberta – così stava scritto sulla targhetta accanto al pulsante del citofono. Il palazzo nel quale l’appartamento si trovava - al secondo piano  - era situato nei pressi della stazione Centrale, all’angolo tra via Ponte Seveso con via Tonale. Si trattava di un solido edificio di quattro piani risalente alla fine dell’Ottocento e composto di scura pietra che l’inquinamento cittadino aveva mutato in color carbone acceso, un nero rossastro che faceva pensare: alla luce del delitto appena scoperto e da poche ore consumato, a un inferno risalito in superficie. Perché è in superficie che l’inferno risiede, anche se si tende a cacciarlo sottoterra, come polvere sotto un tappeto. E come un tappeto lo si calpesta di continuo, quotidianamente, fino a provocarne la risalita all'aria aperta affinché ne possa assorbire l'atmosfera circostante. Scalise tornò a volgere lo sguardo sul corpo inanimato della donna. La rigidità cadaverica stava già facendo il suo corso, e la carne che in vita era stata ancora così piacevolmente soda adesso si stava rassodando in maniera più inevitabilmente disgustosa. La vita che era stata in lei e che aveva contribuito a fare di quel corpo una donna con la sua sensibilità, la sua bellezza, il suo fascino era ora come un vuoto contenitore privato dei suoi attributi, un manichino dalle membra scomposte e disarticolate. 

- Commissario, noi avremmo finito – disse il tecnico della Scientifica avvicinandosi a Scalise, che replicò: - Ed è qui che cominciamo noi.


Antonio Mecca





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