NON RIESCO PIÚ
- 27 ottobre 2019 Cultura

Non riesco più a
passeggiare per strada senza che i miei simili mi vengano addosso.
Non riesco più a salire o scendere da un mezzo pubblico perché le persone non
mi vedono come non vedono gli anziani bisognosi di un posto a sedere.
Non riesco più a scambiare due chiacchiere al bar con sconosciuti che forse si
rivelerebbero affabili e cordiali.
Non riesco più a girare tra le corsie di un supermercato perché la gente è
ferma, isolata e a capo chino sul proprio telefono.
Non riesco più a mostrare la gentilezza di questa città fornendo indicazioni
stradali ai turisti perché le mappe on line hanno sostituito la cortesia
nostrana.
Non riesco più a non provare un brivido quando vedo bimbi nei loro passeggini,
a malapena capaci di parlare, inebetiti di fronte a uno schermo mentre fissano
forme e colori artificiali, invece di apprendere dai contorni e dalle sfumature
del mondo.
Non riesco più a discorrere con la mia compagna a fine giornata perché suoni
elettronici e futilità mi scalzano e mi rimpiazzano di continuo.
Non riesco più a trascorrere una sera a cena con gli amici di una vita perché
la conversazione viene costantemente interrotta da clip video che spaziano
dall'inutile all'idiota.
Non riesco più a scorgere la complicità dei miei concittadini ma soltanto diffidenza
quando a malincuore sono costretti a riemergere da un mondo rarefatto e
inconsistente.
Non riesco più a comprendere, o forse non ho compreso mai, perché vengano
chiamati social network quando l’unico effetto concreto e tangibile sia stato
quello di isolarci gli uni dagli altri.
Non riesco più a giustificare il termine “popolo della rete” perché non è mai
esistito; è solo un’entità astratta ed effimera dove ognuno pensa per sé.
Non riesco più tollerare quest’illusione democratica, esercitata nell'isolamento
della propria casa o del proprio ego, che dona una fasulla parvenza di libertà
ma in realtà ci controlla e ci manipola, rendendoci immobili, catatonici e
inerti come mai prima d’ora.
Non riesco più a sopportare che la sacrosanta libertà individuale sia mutata in
menefreghismo individuale dove le uniche evidenze consistono nel più ridicolo
narcisismo, fiero della propria banalità, ouno squallido voyeurismo che spia le
vite altrui dal buco della serratura. Che l’eccellenza e la mediocrità si
confondano, i piagnistei e il dolore autentico non abbiano più un confine, e
pesino egualmente nella vita di ogni giorno.
Non riesco più a distinguere in questo mare paludoso di sovra informazione
coloro che veramente hanno qualcosa di ragionevole e sensato da riferire da
quelli che farebbero bene a tacere.
Non riesco più.
Riesco tuttavia ancora a
scorgere la speranza che un giorno, dopo un lungo coma, la generazione alla
quale avremo lasciato un pianeta morente, una società iniqua e tanta
solitudine, si desterà desiderando un mondo più concreto. I ragazzi usciranno
dalle proprie case e scenderanno nelle piazze; comprenderanno che senza il
confronto diretto, il contatto umano e una tangibile empatia nulla potrà
cambiare; malediranno coloro che li hanno preceduti e li prenderanno come
modello da non seguire mai più.
In principio avranno paura e non sapranno come rapportarsi tra loro perché un
arido individualismo sarà l’unica eredità che avranno ricevuto. Ma basterà
poco. Basterà che si guardino negli occhi, consci di esserci gli uni per gli
altri, moralmente e fisicamente, e ritroveranno il piacere di stare insieme;
doneranno nuovamente dignità al termine esser umano, senso alla democrazia e
valore alle emozioni; riscopriranno il coraggio, la partecipazione e
l’appartenenza, rischiando e affrontando in prima persona ogni difficoltà senza
più nascondersi vilmente dietro uno schermo.
Tenteranno di rimediare ai nostri errori. Non oso nemmeno immaginare quanta
fatica costerà loro ma son certo che ce la faranno.
Riccardo Rossetti