PER SALVARE LA PROPRIA DIGNITÀ

Giorni fa, nell'interessante trasmissione "Passato e presente" condotta da Paolo Mieli, si è ricordato un triste episodio avvenuto nel periodo in cui l'Italia era dominata dal regime fascista, il giuramento di fedeltà al Fascio imperante avvenuto nell'agosto del 1931. Allora su 1251 accademici soltanto 13 opposero un rifiuto; fra questi, Giuseppe Antonio Borgese. Di lui però gli storici presenti in studio non hanno inspiegabilmente parlato, ed è questo un vero peccato poiché Borgese: nato a Polizzi Generosa, provincia di Palermo il 12 novembre 1882 e morto a Fiesole il 4 dicembre 1952 è stato molte cose insieme: professore universitario, romanziere, poeta, saggista. Borgese il mese prima del giuramento - al quale si sottopose la quasi totalità del corpo docente -  si trovava in America, avendo accettato l'incarico di trasferirsi a Berkeley, in California, per tenervi una serie di lezioni. Gli americani gli proposero quindi un altro anno di cattedra, e fu poi: nel 1933, che lo scrittore siciliano scelse di non firmare il giuramento al fascismo rinunciando alla possibilità - una volta e se tornato in Italia - di riprendere l'insegnamento, lo stipendio e di rinunciare alla successiva pensione. Borgese restò in America per 17 anni, fino al 1948, a insegnare Letteratura italiana e Letteratura comparata prima a Berkeley, poi a Northampton e quindi a Chicago. Padrone della lingua inglese, in questo idioma scrisse il voluminoso saggio "Golia, la marcia del fascismo", pubblicato negli Stati Uniti nel 1937 e in Italia nel 1946, previa traduzione apposita. Lo scrittore italiano si era trasferito dalla Sicilia a Firenze nel 1900, ed era diventato autore di articoli critici bene accetti anche al grande filosofo Benedetto Croce, che recensì con favore due suoi interventi su D'Annunzio e gli pubblicò poi la tesi di laurea con il titolo: "Storia della critica romantica in Italia". Dal 1907 al 1908 Borgese fu in Germania quale corrispondente de "Il Mattino" di Napoli, e de "La Stampa" di Torino. Da questo suo soggiorno nascerà il libro "La nuova Germania", edito a Milano nel 1909. Sempre in quell'anno scrisse un saggio su D'Annunzio. Nel 1921 uscirà il primo dei suoi due romanzi: "Rubè", mentre l'anno dopo ad aprile il libro di poesie "Le poesie di G.A.Borgese", Mondadori editore. Il pesce d'aprile quell'anno gli italiani lo ricevettero con un ritardo di sei mesi, poiché a ottobre ci fu la marcia su Roma e il conseguente marcio che si protrasse per 23 anni, fino al 1945. Nel 1923 ecco apparire il suo secondo romanzo: "I vivi e i morti". Collaborerà al "Corriere della Sera" anche dal suo esilio americano fino al 1934, con articoli che poi confluiranno nel volume "Atlante americano". Nel 1938 ottenne la cittadinanza statunitense e nel 1939 sposò in seconde nozze la figlia di Thomas Mann: Elisabeth, più giovane di ben 36 anni dalla quale avrà due figlie. Nel 1948 rientrò per un breve periodo in Italia, e fu a Roma in occasione del premio Marzotto che ricevette, incontrò Vitaliano Brancati, scrittore catanese, più giovane di 25 anni, che lo descrisse seduto "su una poltrona bassa mandando dai denti lunghi una continua risata soddisfatta... Il suo viso stesso pareva ormai configurato a quel barocchismo che è in fondo a tutta la sua opera. Il suo torto fu di non abbandonarglisi completamente, di non seguire a pieno le leggi della tortuosità e dell'abbondanza, e nello stesso tempo di non dare precisione epigrammatica a quei brevi passaggi in cui il barocco, uscendo da un ghirigoro per entrare in un altro, corre su una linea diritta. Nondimeno la farfalla della Bellezza aleggia qua e là sulla sua opera e sembra che stia per posarvisi". Sembra quasi di rileggere la celebre frase di Flaiano: "In Italia la linea più breve tra due punti è l'arabesco". Probabile che Brancati volle far pagare a Borgese il fatto di avere avuto ragione nel rifiutare l'adesione al fascismo che il suo giovane amico più volte gli aveva richiesto per lettera senza tuttavia mai riuscire a smuoverlo dalle sue convinzioni. Di persona i due scrittori: il già grande Borgese e il futuro grande Brancati si erano conosciuti nell'estate del 1930 a Perugia, all'università per stranieri. Straniero che di lì a un anno anche Borgese sarebbe diventato per l'Italia. Brancati non ci avrebbe messo molto ad abbandonare le sue convinzioni sul fascismo, perché già nel 1934 cominciò a distaccarsi, vale a dire dall'età di 27 anni. Ma Giuseppe Antonio Borgese fascista non lo fu mai, e sebbene come narratore fu probabilmente più modesto del suo giovane e talentuoso discepolo, comprese fin dall'inizio cosa quella dittatura comportava - perdita di dignità in primis. A due anni di distanza dalla morte del maestro a Fiesole avvenuta all'età di 70 anni, anche Brancati morì: lo stesso mese di settembre 1954 in cui l'autore di "Don Giovanni in Sicilia", "Il bell'Antonio" e "Paolo il caldo" pubblicò l'articolo commemorativo su Borgese, dove pur elogiandone gli indiscussi meriti non lo privò di un'acre ironia che sapeva tanto di astio nei suoi confronti per avere saputo vedere più lontano di quanto aveva saputo vedere lui. 

Antonio Mecca




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