LE MIE VACANZE 2

Per molti anni a venire, il Sud Italia fu da me identificato con la Basilicata. Pressoché ogni anno, da giugno a settembre, mi ci recavo con la mia famiglia di origine per trascorrervi due o tre settimane. Il Sud negli anni: Sessanta – Settanta, era molto diverso da come sarebbe diventato poi, molto più simile al Nord nelle affinità elettive o meno. Allora invece era diverso: innanzitutto negli odori, acuti e pungenti e diversi da quelli che si trovavano al Nord. E poi, nei sapori: quello del ragù domenicale in primis, intenso e prevaricante e quasi anestetizzante, che preparava al sacro rituale della pastasciutta dove il sapore della salsa si sposava con quello della carne, benedetto dal buon vino del luogo forse un po’ troppo pesante. E forse era per quello che picchiava alla testa. Nel primo pomeriggio mio padre andava a dormire nel lettone di famiglia, e questo mi avrebbe ricordato in seguito il siciliano Giovanni Percolla, protagonista del “Don Giovanni in Sicilia” di Vitaliano Brancati. Poi si usciva, a volte a piedi lungo il corso principale di Atella, dove ogni due per tre ci si doveva fermare per salutare questo, codesto e quello, e parlare del più e del meno; a volte invece in auto fino a Rionero, a trovare gli zii materni lì risiedenti. Il fratello di mia madre, lo zio Giovanni, era un funzionario del dazio, e si muoveva nell’ambiente cittadino come un poliziotto in borghese che sotto la giacca portava spesso una fondina con pistola. Lo zio occupava un modesto ufficio, non di rado impolverato, che si affacciava sulla piazza, talvolta condividendolo con un altro sebbene non alto funzionario.

In quella piazza antistante il palazzo Fortunato, abitato per anni da don Giustino Fortunato, insigne meridionalista autore di molti libri, aveva giocato a pallone con i propri amici anche Beniamino Placido, futuro insigne scrittore che con il suo talento scrittorio avrebbe dalle pagine dei giornali nei quali collaborava portato alla luce un Sud che per molti sarebbe stato ancora un qualcosa di indefinito, di magico perché non compreso. Fra le cose che più mi colpirono furono le tende di perline – di metallo o di plastica – messe a sbarrare l’ingresso dalle mosche di bar e di negozi. La luce intensa metteva in risalto le cose esterne, e il cuore sembrava palpitare per questo più intensamente. Numerose bestie a quattro zampe circolavano per le strade del paese, che a differenza di Atella che era in piano, con le due vallate che a est e a ovest lo separavano, aveva una serie di salite che lo facevano somigliare a una piccola Roma, le salite che secondo Beniamino Placido sembrano condurre a Dio. Da lì si poteva andare al cimitero, che a differenza di quelli del Nord era soffuso dal canto intenso e monotono delle cicale. Luccicanti sotto il sole intenso stavano le candide lapidi delle tombe infisse nel terreno, tra le quali quelle dei miei nonni materni e di mia cugina Teresa, morta in ancora tenera età: 17 anni, per una polmonite acuta. 

La mia bella cugina della quale era difficile non innamorarsi. Il silenzio che soprattutto nel pomeriggio pervadeva il cimitero era in un certo modo non dissimile da quello dei cimiteri del Nord, ma questo era più legato alla terra, perché attorniato dalla campagna. Una campagna che d’estate era arsa e assetata, e assestata anche dagli orari biologici che la terra stabilisce da millenni.

Antonio Mecca

L'INGLESE CANTANDO

Milano in Giallo

di Albertina Fancetti, Franco Mercoli, Alighiero Nonnis, Mario Pace
EDB Edizioni

Com'è bella Milano

di Albertina Fancetti
EDB Edizioni

L'Osteria degli Orchi

di Albertina Fancetti
EDB Edizioni