IL RISORGERE DEL MALE 9

Il campanello sopra la porta suonò con malagrazia mentre la porta era stata aperta alla medesima maniera. Tre giovinastri fecero il loro ingresso. La loro età variava dai venti ai trent’anni, mentre la loro fisionomia avariava già da diversi anni perché il trio doveva essere dedito agli stravizi già da tempo. Si diressero nel reparto vernici con un passo strafottente. Qui arraffarono numerose bombolette spray per poi dirigersi alla cassa. Il proprietario del negozio mi lanciò uno sguardo sconsolato, al quale risposi con uno sguardo neutro. 
- Quanto viene, papà? – chiese il più smilzo dei tre. L’uomo contò le bombolette: quattordici, e disse loro la cifra: trentadue dollari. 
- Facci lo sconto, papà – disse il grassone del gruppo. 
- Cosa ne farai dei soldi risparmiati? – mi informai. - Li investirai in panini e pizze da gettare in quella fogna? 
Lui si voltò verso di me. 
- Ehi, chi ti ha interpellato? Tu devi parlare quando pisciano le oche, hai capito? 
- Come quell’oca di tua madre che ti ha pisciato fuori da anni? - mi informai. 
Avvampò, diventando ancora più brutto. Come tutti i vigliacchi, si sentiva sicuro perché spalleggiato dagli altri due e dalla presenza del coltello a serramanico che dalla sua tasca fuoriusciva. 
- Ehi, papà – disse uno dei due rivolto al proprietario. - Abbiamo trovato chi ti pagherà il conto. 
- Quello lo dividerete in tre – promisi. – Io rilascerò soltanto la mancia. E così dicendo mollai un calcio con la punta del piede destro al femore del detentore del coltello, spezzandoglielo come un trampolo colpito da un proiettile. Mi rivolsi agli altri due, in primis al farabutto che aveva fatto incetta di bombolette e che ne aveva già scappucciata una per spruzzarmi la faccia di vernice. Forse aveva scambiato la mia faccia di pietra per uno di quei muri che andavano a imbrattare. Mentre con la mano destra lo colpivo sul polso dopo averglielo afferrato e in seguito spezzato, con la sinistra gli infilavo indice e medio nelle narici fino a sollevarlo poi da terra. Il naso cedette: sentii le cartilagini che gli si spezzavano e il sangue prese a sgorgare. Mi voltai verso il terzo, nel momento in cui il bastardo mi si scagliava addosso dopo avere afferrato da una scansia un punteruolo d’acciaio lucido di affilatura. Mi piegai con agilità e mi spiegai con lui alla mia maniera. Rialzatomi con rapidità, lo colpii con la sommità della testa alla base del mento. Sentii il rumore che facevano i suoi denti inferiori venendo bruscamente a contatto con quelli superiori: un rumore di noci che si frantumano. Siccome il punteruolo albergava ancora nella sua mano destra, seppure in semiabbandono, gli afferrai il polso e lo torsi di lato per poi, con un movimento secco, spingerlo all’indietro. Il braccio gli si spezzò con un rumore non certo piacevole da ascoltare, il punteruolo cadde a terra e la sua faccia sbiancò. Presi i tre a calci nel ventre, in faccia, sulla schiena. Quindi aprii la porta del negozio e li feci volare sul marciapiede di fronte. Poi tornai dal negoziante e mi scusai per i miei modi. 
- Sarebbero da definire inurbani se questa fosse una città civile. Ma non lo è più da prima della guerra civile. 
- Purtroppo ha ragione – mi diede ragione lui. 
Lo ringraziai delle informazioni datemi, dopodiché uscii dal negozio, scavalcai i tre rifiuti boccheggianti sul marciapiede dove erano stati circondati da un capannello di persone e mi diressi verso la vicina Times Square.
Antonio Mecca