Kira 2

Kira quando si sentiva sola e stanca, cercava di venire lì per passeggiare oppure si sedeva su una panchina a leggere qualcosa che la distogliesse da pensieri non propriamente idilliaci. La leggera malinconia che la avvolgeva era come la carta velina che avvolge un fiore prezioso: quello che lei era.
Un fiore del profondo Sud che affonda nel profondo del terreno, piazzando le sue radici alla ricerca della sua identità. Ora si trovava nel centro sud, in un clima e in una luce più diluiti rispetto a quelli dove vivono i cosiddetti uomini di rispetto.
Kira amava molto la sua terra di origine, ma non poteva né voleva nascondere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi. La sua grande compaesana Letizia Battaglia, fotografa eccelsa, aveva scattato migliaia di fotografie riguardanti i delitti di mafia, arrivando anche a venire minacciata; eppure mai aveva abbassato la testa.
Ogni paradiso del resto presenta anche la sua parte di inferno, e la Sicilia non fa eccezione.
Aveva cominciato a leggere fin dalla più tenera età, prediligendo gli scrittori del Sud. Flaiano, Sandro De Feo, Marotta, Ortese, Sciascia, Brancati. Specialmente quest’ultimo. Aveva con lui alcuni punti in comune, punti che uniti tra loro formavano delle linee sinuose che richiamavano alla mente la sensualità che Brancati possedeva. Entrambi erano emigrati dalla Sicilia a Roma, il primo scrivendo articoli, racconti, romanzi, sceneggiature. La seconda leggendo e lavorando in un hotel di lusso in via Firenze, una traversa di via Nazionale. L’albergo occupava l’intero terzo piano di un palazzo di fine Ottocento e lei vi lavorava alla reception dividendo il lavoro con altre due persone: Anna e Roberto, entrambi giovani e belli come lei. Quando era il momento della sua pausa pomeridiana, Kira era solita uscire dal palazzo ottocentesco per svoltare a destra e - da lì - approdare nella adiacente piazza San Bernardo, dove si trovava l’omonima bella chiesa risalente alla fine del 1500. Di forma cilindrica, l’edificio ricordava un grosso tamburo esternamente intonacato di arancio, il colore tipico della Roma di un tempo. Dopo avere sospinto le pesanti porte imbottite si veniva a contatto con le pareti interne ospitanti grandi e bei dipinti a tema religioso, e quelle visioni che spesso erano anche condivisioni con altri spettatori, abituali od occasionali, sembravano previsioni per un futuro dove la dolcezza del quieto vivere avrebbe sostituito l’ansia del presente. La luce discesa dal soffitto illuminava le panche e coloro che le occupavano, dando loro un’aura di misticismo che li preparava alla somministrazione della comunione o a quella di una spiritualità proveniente da un lontano passato, da un’epoca nella quale i suoi influssi ancora e per sempre rifulgono sui propri fedeli.
In quell’atmosfera profumata di incenso Kira si sentiva bene. Chiudendo gli occhi aveva la sensazione di trovarsi ancora a Vittoria, nella chiesa madre grondante di fregi e di ori, che sembravano garantire ai semplici di spirito uno Spirito futuro che li avrebbe fatti finalmente vivere e non più sopravvivere.
Più di una volta la bellissima siciliana era stata tentata di lasciare Roma per fare ritorno a Vittoria, ma poi aveva sempre desistito. La nostalgia è una brutta cosa, distorce il ricordo rendendolo più bello di quello che è. Così era rimasta. E ora ecco che quel buffo uomo si affannava a intontirla di chiacchiere; lei scorgeva in lui la disperazione, appena percepibile a uno sguardo superficiale ma non a quello di una donna intelligente, da sempre più attento a sondare i sentimenti.
- Siediti – invitò lei, perché lui ancora era in piedi, a fare il suo numero con la medesima verve iniziale.
L’uomo accettò, grato a lei e al destino che gli aveva fatto conoscere la fata da sempre sognata.
Di lì a poco la ragazza si alzò, dicendo:
- Adesso devo andare, devo tornare al lavoro. Tu quando riparti?
- Domani - rispose lui triste.
- La prossima volta che torni a Roma, vieni al mio albergo ad alloggiare. Capito?
L’uomo annuì, prima con la testa e poi con la voce.
- Certo. Sarà prima di quanto credi, anche se solo per due giorni.
Lei gli diede la mano che lui accolse nella sua come si accoglie una bianca colomba. 
Poi la guardò allontanarsi lungo il viale, una fulgida figura che si stagliava nella luce dorata del tramonto. Gli sembrò rimpicciolita come via via sempre più appariva, fare ritorno alla magia del bosco, rientrare nel libro dei sogni per poi forse non tornare più nel mondo reale.
Antonio Mecca