LA CRISI DELLE EDICOLE
- 01 novembre 2019 Cronaca

Sono molte e diverse le motivazioni che ne hanno suscitato la necessità di chiuderle
Mi sono chiesto tante volte passando accanto a diverse edicole chiuse
di Milano cos’è successo, come mai questa catacombe? Certo: la crisi
economica; la gente legge sempre meno quotidiani e riviste per l'avvento
impetuoso del digitale; i libri proposti costano in complesso sempre di
più e si fa fatica ad arrivare alla fine del mese.
Ma non essendo soddisfatto di queste semplici spiegazioni, ho cercato di andare in fondo e ho trovato altre motivazoni.
Intanto bisogna notare che la frana delle edicole è partita dieci
anni fa con la crisi economica. L'anno scorso si sono registrate 750
chiusure, si può dire 2 decessi al giorno, senza contare le edicole che
non sono state registrate. Ma un preannuncio della frana si è avuto alla
fine anni novanta con la riforma della liberalizzazione di Pier Luigi
Bersani, che diede la possibilità di vendere giornali e riviste anche a
bar, supermercati, pompe di benzina, autogrill, evento che certamente
non ha contribuito a migliorare il reddito degli edicolanti. Infatti,
allora i giornalai a fine mese portavano a casa circa 3 milioni, ora a
mala pena riescono a guadagnare 35 euro al giorno, secondo Giuseppe
Marchica, segretario del Sindacato giornalisti della Cgil , circa mille
euro al mese. Al momento del pensionamento, prima della riforma di
liberalizzazione, i giornalai riuscivano a vendere le proprie edicole a 200 -
300 mila euro, una specie di liquidazione per chi faceva un lavoro
duro, alzandosi alle 4,30 ogni mattina. Oggi è molto difficile vendere o
non si vende per niente. Pur con qualche espediente per sostenere i
giornalai, come vendita di cassette, libri, giochi per bambini, non è
migliorata la situazione. Se si guadagna poco le edicole
irreparabilmente chiudono; da 36 mila nel 2001 si sono ridotte a 15.126
nello scorso anno, secondo i dati della Camera di Commercio. Fa un certo
effetto quasi come un miracolo, la notizia pubblicata sulla
Nuova Sardegna dell'apertura il 23 aprile di quest'anno di una
nuova edicola a Posada (Nuoro), un Comune di 3 mila anime. Segni di
resistenza anche a Firenze dove negli ultimi mesi sono state aperte nove
edicole.
La sferzata contro i rivenditori proviene anche dai monopolisti della
distribuzione, che oltre a dettar legge su cosa vendere in base ai
riscontri di cassa, danno all'edicolante una quota fissa del 18,70 % su
ogni pubblicazione venduta. I libri, le riviste scientifiche e di
approfondimento costano certamente di più, ma la gente acquista
maggiormente rotocalchi popolari, riviste di gossip da 1-2 euro, magro
bottino per chi siede ore e ore in quel chiosco angusto.
Ci sono stati alcuni tentativi legali per sollevare le sorti del rispettabile mestiere dell'edicolante?
Tentativi si sono succeduti fin dopo la riforma Bersani. Nel 2001 si
propose di far vendere agli edicolanti le sigarette, ma si opposero
strenuamente le associazioni dei tabaccai. A Roma l'allora sindaco
Veltroni consentiva di vendere i biglietti del teatro e dello stadio,
giocattoli, pellicole fotografiche, mentre ovunque si è incominciato a
vendere biglietti degli autobus e talvolta anche biglietti della
lotteria fino alla prassi attuale di vendere altri piccoli articoli di
grande consumo. Dieci anni dopo Veltroni a Milano hanno proposto di
trasformare le edicole in infopoint per spedizioni pacchi e
corrispondenza e in Liguria qualcuno ebbe l'idea di trasformarle in
pasticceria. Sempre a Milano recentemente si è tentato di dar vita alle
edicole quali luoghi per degustare i cibi tradizionali. Non mancano
altre idee, specialmente nelle grandi città, dove la crisi si risente
maggiormente. In alcuni casi le innovazioni coraggiose partono dagli
stessi interessati per preservare il loro non proprio antico mestiere.
C'è chi resiste affidando la bottega dei giornali a stranieri che
riescono a rivitalizzarla introducendo altre pubblicazioni e magari
prodotti di souvenir e di richiamo.
Rimane comunque l'esigenza di un’iniziativa pubblica per risolvere il
problema della crisi delle edicole e dei giornalai, collegata pure alla
crisi della carta stampata.
Nel 2012 sotto il governo Monti Paolo Preluffo, sottosegretario alla
presidenza con delega all'editoria, fece un decreto che rendeva
obbligatorio dall'anno successivo la tracciabilità delle vendite e delle
rese dei giornali con l'introduzione di un sistema informatico che
avrebbe messo in rete tutta la filiera: editori, distributori e
rivendite. Ma per anni non si è fatto niente per mancanza di un decreto
attuativo previsto dallo stesso decreto e per le continue proroghe. Alla
tracciabilità obbligatoria si è arrivato solo cinque anni dopo, ma non
all'informatizzazione, che aprirebbe a nuove possibilità di business
editoriali, quali abbonamenti elettronici, magari con ritiro delle copie
di carta presso gli edicolanti. Le stesse edicole potrebbero confluire
nel servizio pubblico in modo più organico e meno sporadico, come ormai da
tempo si fa in alcune città come Genova, Firenze, Modena e Torino dove
accordi con le Amministrazioni comunali hanno permesso ai giornalai il
rilascio di certificati anagrafici. Purtroppo occorre ancora ricordare
che il progetto di informatizzazione non è mai decollato anche per non
ledere gli interessi dei distributori, i quali per non perdere la
posizione dominante nella contrazione attuale del mercato si rifanno
sull'anello debole dei rivenditori,trasformandosi così in monopolisti
locali.
Se lo Stato non combatte i monopoli e rimane inattivo, il debole potrebbe soccombere.
Luciano Marraffa